Arrivo oggi a Sanremo, prima volta per me. Ci arrivo con gli occhi di un ragazzo di 24 anni che ascolta musica in maniera seria (che non significa musica seria) da una decina d’anni. E ci arrivo da appassionato di Sanremo, del clima d’attesa, della finale del sabato sera e di tutto quel contorno. Non secondario: solitamente riesco a farmi piacere (il meccanismo di autoconvincimento è quasi necessario) al massimo due canzoni per ogni edizione. Ascoltare il festival in realtà non è molto diverso dall’orientarsi con una bussola scassata, sai già perfettamente quale sarà la direzione che la musica italiana non prenderà. Che con Fazio, per quanto possa non piacere, si arrivasse ad una formula che premiasse la canzone, c’era da aspettarselo. D’altronde le edizioni ’99 e 2000 da lui condotte si segnalavano per nomi quali Quintorigo, Gazzè, Silvestri, Rei, Bersani, Subsonica, Avion Travel (addirittura vincitori), Tiromancino e Riccardo Sinigallia, oltre ai soliti noti.

A questo giro non cambia il concept dietro a tutto: scovare qualcosa di più ricercato e giovane, senza perdere l’appeal verso un pubblico maturo. E quindi infornata di sbarbatelli ancora freschi di talent unita a quella tradizione cantautorale un po’ muffosa che all’Italia sta sempre a cuore. Dentro Silvestri, Elio e le storie tese, Almamegretta, Marta sui tubi. Ma il tentativo cade nel cliché dell’ospite “impegnato”, diverso. Non un qualcosa di realmente nuovo, particolare, da lanciare. Ma quasi tutti nomi sulla scena da una ventina d’anni, che hanno fatto il loro tempo. E anche gli idoli delle adolescenti (Modà, Scarrone e compagnia cantante) nascono più vecchi di un Al Bano a caso. Si ricicla così Sanremo, sempre un po’ uguale a se stesso, e la prospettiva e la voglia di novità appassisce al sol leggere i nomi.

Suona quasi rivoluzionario l’anatema dance lanciato l’anno scorso dalla Bertè e D’Alessio. Lì almeno c’era l’entusiasmo per qualcosa, lo spettacolo, il trash, chiamatelo come volete. A leggere i nomi di quest’anno pare che Fazio si trinceri dietro al solito buonismo un po’ da mediocri, un “Che Tempo Che Fa” declinato in musica. Se ne sentiva il bisogno? No.

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