Finalmente si avvia a conclusione una campagna elettorale fondata su di un unico argomento: l’Imu. Una campagna che certifica la politica italiana fondata sul nulla. Lazzaro-Berlusconi l’ha indirizzata sull’unico argomento che scuote la pancia degli elettori (affamati e sfiduciati, quindi pronti a volgere il naso verso l’odore del pane), quale quello dell’Imu. E dietro, tutti a rincorrerlo, da Bersani a Monti, con il volgare rilancio delle offerte. Più che un dibattito politico fondato su temi concreti, su persone affidabili (nessuno ci ha anticipato chi sarà il ministro di cosa, quasi che il governo debba essere un uovo di Pasqua con le sorpresine dentro), sulla visione futura del Paese (infatti non ne hanno, basti guardare l’età avanzata di chi ci vuole condurre), un’asta da imbonitori. Peraltro dotati di rara mediocrità e onestà intellettuale.

Se ci avete fatto caso, nessuno ha mai avuto responsabilità (l’Imu l’hanno voluta e votata altri; le tasse più alte sono scelte altrui; le riforme mancate imputabili agli altri), tutti hanno proposto temi che non hanno mia realizzato quando avrebbero potuto farlo (ivi incluso il mr. Magoo della Bocconi), tutti hanno ipotizzato voli pindarici e immaginifici per reperire nuove risorse.

Ci avviamo dunque a divenire un popolo di Imu-deficienti. Metà dell’elettorato è incerto se non votare, votare col riempire di insulti la scheda, rientrare nei ranghi dei partiti tradizionali all’ultimo istante, realizzare un voto di protesta.

Il polpettone avariato offerto dai soliti noti (B&B) o dai noti insoliti (M) è a ben vedere molto simile: conservatore, non riformista, ipocrita. Si differenzia solo per gli annunci tanto eclatanti quanto inverosimili. I temi più importanti non vengono affrontati. Si omette di trattare una vera riforma del fisco fondata su di un nuovo patto tra contribuenti e Stato, con poche regole certe e chiare, con una forte riduzione del carico fiscale (ed anche del costo del lavoro), con l’eliminazione di tutte le tasse e le imposte occulte (ne abbiamo decine, ignobili), con la possibilità di compensare subito crediti e debiti verso lo Stato, con termini brevi per il pagamento da parte dello Stato (90 giorni al massimo), in ossequio al principio di progressività, con un giudice veramente terzo (le Commissioni Tributarie non lo sono). Senza un fisco equo e certo i diritti vengono meno poiché i cittadini sono in balia di uno Stato di polizia tributaria che trova nutrimento nella incertezza e continua oscillazione del diritto. La libertà è soppressa. Dopo questo patto lo Stato potrà essere implacabile verso gli evasori (basta introdurre un vero reato per evasione oltre una certa soglia, pur minima). Non è credibile uno Stato indulgente verso se stesso (inefficiente, dispendioso, esoso) e implacabile verso i sudditi con il braccio armato di Equitalia. Patto che pretende uno Stato più leggero, con l’eliminazione della spesa parassitaria e con l’abbattimento dei costi della politica (qualche centinaio di miliardi), con scelte coraggiose (tagli della spesa militare) e aggressione della corruzione.

Si omette di trattare una vera riforma della giustizia, necessaria per salvaguardare la tutela dei diritti dei cittadini. Anzi si procede in senso opposto ipocriticamente: taglio a raso dei tribunali (anche di quelli efficienti e necessari), aumento costante dei contributi unificati (così da disincentivare l’accesso alla giustizia da parte dei soggetti con meno disponibilità economica), mini riforme dei processi (scritte da mediocri burocrati con l’unico obiettivo di intimidire e diffidare dall’accesso al processo, a getto continuo, così da alimentare l’incertezza del diritto), trascuranza dell’organizzazione dei tribunali e lentezza della messa a regime del processo telematico (veri nodi fondamentali), formazione seria e responsabilità piena dei magistrati, nonché degli avvocati (oggi solo in parte destinata a migliorare con la nuova legge professionale). Una omissione che conferma la volontà (non dichiarata ma scellerata) di lasciare la giustizia in uno stato comatoso.

Si omettono di trattare poi i temi ed il ruolo della cultura e del paesaggio, nostre vere, uniche e preziose risorse, da valorizzare, tutelare al punto da poter costituire un settore economico di straordinaria vitalità per il rilancio dell’occupazione e dell’economia. Il nostro vero brand è la bio-cultur-diversità, rappresentata da idee, creatività, bellezza, diversità paesaggistica, gastronomica, beni culturali. I mediocri leader (supposti tali) invece puntano il dito sulle succulenti grandi opere, rilancio dell’edilizia e altre amenità devastanti.

Argomenti che vengono solo trattati dai nuovi movimenti come il M5S, Rivoluzione Civile e Fare. Sarà mica un caso?

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