Papa Wojtyla decise di restare sul Soglio pontificio fino alla fine della sua vita perché riteneva che “dalla croce non si scende”. Così il cardinale di Cracovia Stanislaw Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II fino alla sua morte nell’aprile 2005, ha commentato la decisione di Benedetto XVI. Una critica, o semplicemente una considerazione, immediatamente controbilanciata dall’apprezzamento sul ruolo di Ratzinger in questi anni: “Capisco la motivazione di Papa Benedetto XVI che guidava la Chiesa con grande saggezza e ponderatezza”. Dziwisz ha anche ringraziato il Papa per i suoi sforzi mirati a rinnovare la vita della Chiesa e ha espresso gratitudine per il rapporto speciale riservato da Papa Ratzinger al popolo polacco. 

Del resto, per quanto l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI sia arrivato a sorpresa, già undici anni fa Ratzinger aveva prospettato la possibilità da parte di un papa di lasciare la propria carica per motivi di salute, proprio parlando di Wojtyla. Era il 2002 e all’epoca il futuro pontefice era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Il suo predecessore Giovanni Paolo II da tempo aveva problemi di salute. In una dichiarazione al settimanale dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, il Münchner Kirchenzeitung, Ratzinger non aveva escluso, in caso di peggioramento delle sue condizioni, un ritiro anticipato: “Se il papa vedesse di non poter assolutamente farcela più, allora sicuramente si dimetterebbe”.

Giovanni Paolo II, però, scelse di andare avanti. I primi sintomi del Parkinson lo avevano colpito nel 1991 e nel ’95 fu costretto a interrompere il discorso di benedizione natalizia per un attacco di appendicite acuta. Con il passare degli anni le sue condizioni peggiorarono, rendendogli difficile anche la semplice deambulazione. Ciò non gli impedì di continuare a girare il mondo, pur con evidenti difficoltà. Lui stesso dichiarò più volte che avrebbe lasciato solo se fosse diventato mentalmente inabile in maniera irreversibile.

Ratzinger, invece, anche una volta eletto Papa, ribadì la propria posizione, restando sempre possibilista di fronte a un possibile ritiro anticipato. In particolare, Benedetto XVI ricordò la propria posizione in un libro-intervista uscito nel novembre 2010, Luce del mondo: ”Se un papa si rende conto con chiarezza che non è più capace, fisicamente, psicologicamente e spiritualmente, di assolvere ai doveri del suo ufficio, allora ha il diritto e, in alcune circostanze, anche l’obbligo, di dimettersi”.

Una posizione condivisa da altri esponenti religiosi, come il cardinale honduregno Oscar Andres Rodríguez Maradiaga o il Decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano. Nel 2005, quando era segretario di Stato del pontefice, a chi gli chiedeva se Wojtyla pensasse alle dimissioni, Sodano aveva dichiarato: “Questo lasciamolo alla coscienza del papa”. Una scelta peraltro prevista dal codice di diritto canonico: “Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio – recita di canone 332 comma 2 -, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti”.

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