Era ora. Finalmente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo palesa ciò che si sa da molto tempo e si finge di non sapere. L’Italia è stata condannata – in un caso identico a quello noto di Cittadella di qualche mese fa, caso in realtà molto diffuso -, per non avere predisposto un sistema giuridico (e amministrativo) adeguato a tutelare il diritto inviolabile del genitore (nella specie e quasi sempre il padre “separato”) di esercitare il naturale rapporto familiare col figlio.

Con la sentenza Corte Eur. Dir. Uomo, sez. II, 29 gennaio 2013 (Pres. Jočienė), Affaire Lombardo c/ Italia si osserva che dall’art. 8 della Convenzione, derivano obblighi positivi tesi a garantire il rispetto effettivo della vita privata o familiare. Questi obblighi possono giustificare l’adozione di misure per il rispetto della vita familiare nelle relazioni tra gli individui, e, in particolare, la creazione di un arsenale giuridico adeguato ed efficace per garantire i diritti legittimi delle persone interessate e il rispetto delle decisioni dei tribunali. Tali obblighi positivi non si limitano al controllo a che il bambino possa incontrare il suo genitore o avere contatti con lui ma includono l’insieme delle misure preparatorie che permettono di raggiungere questo risultato. In particolare per essere adeguate, “le misure deputate a riavvicinare il genitore con suo figlio devono essere attuate rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui”. Non deve, dunque, trattarsi di misure stereotipate ed automatiche.

Il caso Lombardo c/ Italia, – come si può ricavare nel fatto della sentenza leggibile in francese – rende palpabile e avvertibile con dolore profondo, il dramma esistenziale di un uomo che per anni ha dovuto ricorrere all’infinito ai giudici, con un esborso economico notevole (evento che anch’esso può segnare il destino di un uomo) per ottenere l’esercizio (e dunque il riconoscimento del diritto inviolabile, poiché non può esservi il diritto se viene riconosciuto formalmente ma violato nella sostanza) del diritto alla bigenitorialità, nella specie paterna, dopo che il tribunale gli ha riconosciuto le modalità per esercitarlo. Il caso è identico a quello di Cittadella, connotato da una madre che dopo la separazione impedisce con ogni mezzo al padre di vedere il figlio, alienando la figura paterna, compiendo ben due crimini: uno contro il figlio indotto a crescere in modo innaturale, privo del riferimento fondamentale di uno dei due genitori; il secondo (spesso trascurato ove non ignorato) contro il padre violato nel suo diritto più sacro e forte, quello del rapporto padre-figlio.

Un caso da manuale, poiché chi tratta il diritto di famiglia ben sa che rientra in una casistica assai diffusa. Casistica che vede spesso la madre “separata” artefice di tale condotta, in danno del padre. Come raccontano gli esperti, mentre una tale gravissima condotta vedeva sino all’inizio del secolo artefici i padri verso le donne, dalla seconda metà del ‘900 in poi pare che tale potere sia stato conquistato dalle donne.

Chi tratta il diritto di famiglia (magistrati ed avvocati in primis, poi i consulenti e gli assistenti sociali) ha una responsabilità enorme poiché gestisce non diritti di crediti ma diritti inviolabili. E’ necessario dunque che sia dotato di straordinaria capacità, formazione, etica professionale, equilibrio ed onestà intellettuale. Non ultimo, intuito. Molte volte mi sono imbattuto in magistrati e avvocati incapaci di gestire il conflitto e con tale mediocrità o con insulsa piaggeria, decidere di formalizzare l’affido condiviso ma sostanzialmente realizzare un affidamento esclusivo (mascherato dall’ipocrisia del genitore collocatario, nel 90% dei casi la donna secondo i dati resi noti nei convegni, relegando il diritto di visita del padre e dei contatti col figlio al 15%). Può dirsi “condiviso” un diritto alla bigenitorialità funzionale al 15%, gravato dalla servitù di versare un assegno di mantenimento (spesso utilizzato dalla madre con disinvoltura) indiretto (quando la ratio delle legge è il mantenimento diretto), espropriato interamente dell’abitazione e ridotto (se dotato di reddito medio) alla povertà, infine privo di un sistema (come denuncia la Cedu ora) di tutela adeguato del diritto già così compresso?

L’auspicio è che si esca ora da questo velo di grave ipocrisia che connota tale materia e si riequilibri il sistema che sta causando ogni anno migliaia di vittime bianche, atteso che non c’è nulla di più straordinario, intenso, sublime, indissolubile del rapporto tra un genitore ed il figlio.

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