Nei giorni in cui sta per intentare una causa, penale, contro Lara Cosmi per diffamazione, Roberto Soffritti ne perde un’altra, civile, contro l’ex compagno di partito Fernando Rossi. Il tribunale di Roma ha rigettato l’azione per risarcimento danni da due milioni di euro intentata dall’odierno candidato di Rivoluzione Civile di Ingroia sia in proprio che in qualità di tesoriere nazionale del Pdci. “Una causa mossa – sottolinea Rossi, oggi leader del movimento nazionale Per il bene comune – per aver dichiarato di aver avuto informazioni sull’appartenenza alla massoneria di Oliviero Diliberto e Roberto Soffritti”. Il giudice Silvia Albano, oltre a rigettare la domanda risarcitoria, ha condannato lui e i Comunisti Italiani al pagamento delle spese processuali, liquidate in 12.500 euro, più 2.500 per diritti e 10.000 per onorari.

Si conclude così una causa protrattasi per anni (dal 2008) e discussa per una dozzina di udienze, fino a quello che il difensore di “Nando” Rossi, l’avvocato Renato Bellofiore, battezza come “epilogo naturale”: “si è dimostrato che il convenuto ha agito in piena e totale correttezza, esercitando semplicemente il diritto di critica, doveroso da parte di un parlamentare che ha ricevuto un mandato dagli elettori”. Soffritti e il Pdci chiedevano ognuno un milione di euro di risarcimento per alcune frasi considerate diffamanti pronunciate da Rossi quando era senatore.

Parliamo degli anni che vanno dal 2006 al 2008. Rossi – segretario regionale del Pdci – viene candidato nelle Marche ed eletto a Palazzo Madama. Soffritti approda alla Camera. I due si ritrovano dopo l’esperienza comune in municipio a Ferrara. Il tesoriere nazionale del Pdci, allora sindaco, lo chiamò nel ’98 come assessore all’urbanistica. Una volta divenuto senatore Rossi ci mette poco a farsi conoscere a livello nazionale.

Il suo nome rimbalzò insieme a quello di Franco Turigliatto, altro dissidente in quota Rifondazione comunista, su tutte le cronache politiche quando, in sede di voto alla Finanziaria 2006 del governo Prodi, annuncia voto contrario. Di lì a breve se ne andrà del partito, restituendo la tessera e sbattendosi dietro la porta con dichiarazioni al vetriolo: “partito massone e in metastasi avanzata”. A questo aggiunse altre frasi che finirono oggetto della causa civile. “Un atto che doveva essere evitato – commenta l’avvocato Bellofiore -, visto che Rossi agiva nella cornice della critica politica riconosciuta dall’art. 68 della Costituzione e visto che non ha mai accusato nessuno direttamente. Ecco perché il giudice ha ritenuto le pretese degli attori della causa infondate”.

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