In settimana il Premier Britannico David Cameron ha tenuto il tanto atteso discorso sul futuro della Gran Bretagna all’interno dell’Unione europea. Un discorso che, al netto del politichese, ha chiesto a Bruxelles una rinegoziazione dei termini dell’adesione britannica pena un referendum entro il 2017 propedeutico all’uscita del Regno Unito dall’Ue. Dispiace che una mossa mirata quasi esclusivamente alla tutela degli interessi di certe lobby economico-finanziarie della City di Londra sia venduta come uno slancio di democrazia all’insegna dell’indipendenza e della libertà del popolo britannico.

Che la Gran Bretagna non sia storicamente “in the heart of Europe” (ad eccezione di una breve parentesi blairiana) non è certo una novità. Ma la domanda da porsi è: perché proprio adesso tutta questa voglia di tagliare il cordone ombelicale con Bruxelles? A sentire i tromboni iperconservatori e nazionalisti dei tories o dell’Uk Independence party, è ora di finirla con i diktat dell’Ue in questioni di politica interna. Un’istanza piuttosto strana se fatta da un Paese di sicuro non al centro dell’attenzione europea come lo sono invece Grecia, Spagna e Italia.

La verità è che sotto questa scorza di fittizio orgoglio nazionale, ci sono anche precisi interessi di potenti lobby che vedono di malocchio i passi che Bruxelles sta prendendo per evitare future crisi finanziarie e mettere sotto controllo il sistema bancario europeo dove oggi vige la legge del Far West. Ma vediamo i principali mal di pancia della City di Londra.

Unione bancaria europea. L’Ue sta cercando di evitare futuri crack bancari ed effetti domino mettendo sotto il controllo della Bce l’intero tessuto creditizio europeo. In quest’ottica, tra le varie misure, le banche dovranno prevedere fondi cuscinetto per “salvarsi” con i propri mezzi (e non quelli dei contribuenti) e sarà stabilito un sistema di pronto intervento europeo per evitare contagi tra istituti di credito. Il rapporto Liikanen, commissionato sempre dall’Ue, propone poi la separazione legale tra attività di credito e quella di trading finanziario nonché di pagare parte dei bonus dei banchieri con le azioni della propria banca per spingerli così a fare il possibile per non farla fallire. Ricordiamo che le prime banche europee vittime della crisi finanziaria sono state le inglesi Northern Rock e Bradford&Bingley, e poi le scozzesi Royal Bank of Scotland e Halifax Bank of Scotland.

Tobin Tax. Storica l’opposizione britannica alla tassazione sulle transazioni finanziarie. Si tratta, in parole povere, di applicare una tassa agli spostamenti milionari di capitali ad opera soprattutto delle grandi istituzioni finanziarie attive in Europa. La Gran Bretagna ha fatto di tutto per impedire una simile legislazione sventolando lo spauracchio della fuga di capitali. Recentemente Bruxelles ha deciso di andare avanti lo stesso con il procedimento della cooperazione rafforzata tra gli undici Paesi Ue che ci stanno. Si tratta di milioni di euro che saranno spesi per aiutare i Paesi in difficoltà e per finanziare progetti di interesse comunitario, ma che la City non vuole cacciare.

Rebate. Si sa, in tempi di crisi si fanno sacrifici. Ecco che alcuni Paesi Ue, in sede di negoziazione del prossimo piano di finanziamento pluriennale Ue 2014-2020, hanno espresso il desiderio di ridurre il “rebate britannico” ovvero il risarcimento che Londra si becca ogni anno per i fondi strutturali non utilizzati e pagati in contanti dagli altri Paesi (Italia compresa che, ironia della sorte, è uno dei contribuenti netti, ovvero da anch’essa a Bruxelles più di quanto riceve). Per difendere questo gruzzoletto, Londra era pronta a tutto compreso lo stop ai negoziati e il veto ai finanziamenti per l’Erasmus e ai terremotati dell’Emilia Romagna (bilancio Ue 2012 rettificato).

Spesa sociale e normative sul lavoro. Londra continua ad opporsi agli aiuti internazionali ai Paesi in difficoltà (ribadito nel discorso di Cameron) e a intromissioni europee nella legislazione nazionale sul lavoro, come i limiti orari settimanali e i maggiori congedi parentali di cui si sta parlando da anni a Bruxelles e che cozzano con il neoliberismo sfrenato d’oltre Manica.

Insomma, l’ondata euroscettica di Londra è il risultato di più interessi, ma di sicuro non è solo una questione di democrazia.

Twitter: @AlessioPisano

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