Lo scorso ottobre a Bruxelles un gruppetto di undici esperti internazionali ha consegnato alla Commissione europea un rapporto di 150 pagine con cinque misure facili facili per prevenire futuri terremoti finanziari come quello che sta scuotendo l’Europa da quattro anni a questa parte. Tra queste regolette d’oro spiccava la separazione legale tra attività di credito e quella di trading finanziario. “E’ ora di porre fine al sistema in cui si privatizzano i profitti e si socializzano le perdite”, aveva detto il finlandese Erkki Liikanen a capo del gruppo di esperti. Tuttavia, oggi Francia e Germania stanno cercando silenziosamente di minare questo concetto nell’unico interesse dei propri istituti di credito.

Nel febbraio 2012, il gruppo di undici esperti guidato da Liikanen era stato incaricato direttamente dal Commissario Ue al Mercato Interno Michael Barnier di studiare le mosse per prevenire eventuali crisi future del settore finanziario e le conseguenti ricadute sulle casse pubbliche, i risparmi dei contribuenti e il finanziamento dell’economia reale. Dal 2008 al 2011, infatti, il soccorso europeo alle banche del continente è costato ben 4500 miliardi di euro di fondi pubblici, ovvero il 36,7 per cento del Pil europeo. Una cifra da capogiro che è stata finanziata sostanzialmente con le tasse dei contribuenti, i tagli alla spesa sociale e la sottrazione di capitali ad imprese ed aziende. E il conto è ancora aperto.

L’effetto domino mondiale dei crack di grosse banche americane e il contagio tramite asset tossici venduti a miliardi di dollari ormai è storia. Ma se sarebbe semplicistico avocare solo alle banche tutte le cause della crisi mondiale – magari una buona parte sì – , è altresì innegabile che la non divisione tra le attività di risparmio e di investimento dei grossi istituti di credito internazionali ha fatto sì che il costo degli azzardi speculativi di qualche banchiere in preda a manie di onnipotenza – l’economista francese Jacques Attali parla di connessioni tra la finanza creativa e l’abuso di cocaina – ha contribuito a far ricadere il fallimento di alcuni investimenti sulle spalle del piccolo risparmiatore che “hedge funds” non sa nemmeno come si scrive.

Succede che, nonostante l’evidenza degli effetti di questa deregulation finanziaria e le esplicite raccomandazioni del rapporto Liikanen – redatto tra l’altro da un finlandese –, Francia e Germania stiano tramando per evitare una simile divisione bancaria. A Bruxelles si stanno gettando le basi per quella che sarà l’unione bancaria europea che dovrebbe, almeno in teoria, prevenire futuri cortocircuiti bancari. Mercoledì scorso il ministro alla finanza tedesco ha detto: “Siamo in contatto con il governo francese a proposito della loro proposta sul rapporto Liikanen”, proposta che prevede appunto la non separazione netta di queste due attività bancarie. Questo perché, secondo quanto riferisce l’associazione delle banche tedesche BdB, “una piena separazione costituirebbe un eccesso di regolamentazione – avete letto bene – e potrebbe danneggiare l’economia tedesca”. Tra le banche tedesche maggiormente interessate a questa (non) separazione troviamo la Deutsche Bank, la principale banca privata del Paese. Ma a seguire con interesse il dossier Liikanen sono anche, tra le altre, le francesi BNP Paribas e Societe Generale.

Nel frattempo mezza Europa punta il dito contro i conti greci, le spese spagnole e lo spread italiano. Per carità, “a ciascuno il suo”, ma almeno ogni Paese si assuma le proprie responsabilità.

@AlessioPisano

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