Non solo studenti, ricercatori e giovani alla ricerca di fortuna. Tra i cervelli in fuga italiani ci sono anche i manager che, per necessità, diventano blogtrotter e negli ultimi tre anni sono cresciute del 40% le posizioni ricoperte dai “capitani” tricolore nelle aziende estere. In totale – dice un’indagine di Amrop, gruppo leader nel campo dei “cacciatori di teste” – i manager del Belpaese impegnati all’estero sono circa 5mila, di cui circa il 75% nell’Europa occidentale. Industria, finanza e servizi i settori top.

Crisi, carriere bloccate e prospettive incerte sono i motivi alla base della “fuga” dei cervelli manageriali dal Belpaese. Anche se a livello globale la presenza degli italiani resta modesta (2-3% del totale), i nostri manager sono concentrati per i tre quarti nell’Europa occidentale, in particolare Francia, Gran Bretagna, Svizzera e Germania. Cresce la loro presenza in Est Europa (12%), più sporadici in Sudamerica (4%) e Nord America (3%). ma la vera novità degli ultimi anni sono gli sbarchi in Oriente (5%), soprattutto Cina e India. Quasi due terzi dei manager italiani che si affermano all’estero ha alle spalle una carriera “domestica” nelle vendite o nel marketing. Ma è significativa anche la presenza di uomini e donne provenienti da amministrazione e finanza (17%) o dalla produzione (13%). I direttori generali che varcano i confini sono circa il 5%.

I fattori determinanti per l’inserimento di top manager italiani nei ranghi internazionali? “Solido curriculum di studi, qualificata esperienza e tradizionali doti di flessibilità, creatività, innovazione e cultura che ci contraddistinguono – sottolinea Vito Gioia, managing partner di Amrop -. La crisi ha spinto molti manager di valore a cercare opportunità qualificate all’estero, perchè da noi le carriere sono bloccate o le prospettive incerte”. L’ascesa verso la stanza dei bottoni delle multinazionali, tuttavia, non è facile. Amrop ha stilato un decalogo delle qualità che un manager deve possedere per impegnarsi nella “scalata globetrotter”. Occorre, ovviamente, una disponibilità a trasferirsi in diversi Paesi ogni 3-4 anni. Bisogna essere consapevoli che la trasferta è spesso “senza ritorno”. Ci sono grandi sacrifici da affrontare, specie per la famiglia. Alcuni manager scelgono di portare con sè partner e figli, altri mantengono la base in Italia e affrontano trasferte solitarie con viaggi periodici. Sul piano professionale, inoltre, occorre maturare un’esperienza variegata, ricoprendo diversi incarichi in differenti Paesi. E’ poi necessario assimilare a fondo la cultura della casa madre. “I top manager di una multinazionale devono diventare come i francesi se il quartier generale è a Parigi, come gli americani se è a Chicago e come i tedeschi se è a Francoforte”, avverte Gioia.

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