Ieri sera, in diretta da Lucia Annunziata (Leader, Rai Tre), Salvatore Borsellino ha espresso il suo dispiacere ad Antonio Ingroia, mantenendo un dialogo. Spesso, nelle liste di Rivoluzione civile figurano in cima esponenti della vecchia guardia dei partiti. Il fondatore delle Agende Rosse aveva invece chiesto che vi fossero giovani impegnati per la giustizia e l’etica pubblica.

Qui voglio andare oltre la cronaca, posto che conosco Salvatore Borsellino, con cui condivido battaglie, speranze e l’amore per la nostra Sicilia.

La Sicilia è il teatro della probabile trattativa tra pezzi dello Stato e della mafia. Per lo scrittore Leonardo Sciascia, la Sicilia era metafora di un preciso costume, di un’altra idea di comunità, di legge e, se vogliamo, di repubblica. La Sicilia è un’isola, ma non in senso stretto: è un mondo a sé, dove il bene e il male, la passione civile e la foga criminale hanno sempre avuto livelli, contrasti estremi. Potremmo dire che la Sicilia è il luogo di uno scontro remoto fra coraggio e viltà, ingenuità e malafede, valore civile e tradimento, utopie e massacri, parola e silenzio.

Negli ultimi anni Salvatore Borsellino ha rappresentato e alimentato il fronte buono di questo scontro. Il fronte opposto, invece, è stato organizzato, gestito e foraggiato dalle mafie classiche e politiche. Mi riferisco ai boss e agli apparati, questi intesi come parti dello Stato che hanno abusato della democrazia, del peso e della funzione istituzionale, per perseguire fini contrari alla Repubblica della Costituzione.

Su questo blog avevo invitato Ingroia a non candidarsi, proprio perché il suo ruolo e le sue responsabilità di magistrato erano determinanti nello scontro delineato, che si materializzò ai funerali di Paolo Borsellino in una scena drammatica, memoria della ribellione extrapartitica all’ambiguità dello Stato.

Ingroia ha preferito invece imboccare la via della politica, suo malgrado sottoponendosi a quelle ineliminabili pressioni interne ai partiti, per Sciascia trasformatisi in «fratellanze, specie di sette», che hanno stabilito di farsi il loro parlamento con i voti di un elettorato sempre più ridotto.

Era prevedibile, perciò, che l’ex pm di Palermo non riuscisse a sottrarsi alle pretese dei leader partitici che lo sostengono. Era prevedibile che Ingroia dovesse mantenere gli equilibri tra le forze che l’hanno lanciato come guida, assumendosene onori e oneri.

Ciononostante, Salvatore Borsellino, ha deciso per idealismo di schierarsi al suo fianco, ritenendolo al di sopra di ogni imposizione. Autonomo, Salvatore credette come molti amici utopisti alle premesse di Antonio Di Pietro e Luigi de Magistris. Ma nel 2009 il primo subì la candidatura dell’indagato Vincenzo De Luca (Pd) a governatore della Campania e il secondo non seppe poi imporre un cambiamento degli uomini, temporeggiando fino alla scomposizione di quell’entusiasmo popolare, di fatto un’entità politica, creatosi dopo l’avocazione dell’inchiesta Why not.

Di Pietro e De Magistris hanno perduto quel movimento, che mai sarebbe stato sotto bandiere o dettami di partito, mai avrebbe perdonato le mele marce di Idv. I due non hanno saputo o voluto costruire la svolta. Sarà loro difficile recuperare, soprattutto dopo le ultime scelte elettorali e politiche. Con l’ennesima apertura di ieri dall’Annunziata, Salvatore Borsellino ha lanciato un messaggio. A Ingroia toccherà rivedere tutto, da oggi all’ufficializzazione delle sue liste.

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