Luigi Giuseppe Villani aveva copie degli estratti conto del procuratore capo di Parma Gerardo Laguardia. È uno dei nuovi elementi emersi dalla perquisizione dell’abitazione del capogruppo Pdl in Regione e vicepresidente di Iren che mercoledì è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di peculato e corruzione nell’ambito dell’inchiesta Public Money, lo scandalo destinato a mutare profondamente gli equilibri di Parma, un tempo la piccola Parigi dell’Emilia Romagna, oggi l’esempio di come sia rimasta tale e quale alla Milano da bere degli anni Ottanta. E’ una Parma che gli uomini del Pdl si sono non solo bevuti, ma l’hanno spolpata fino all’osso, lasciandola con quasi un miliardo di debiti e poche possibilità di risollevarsi entro breve termine.

Gli uomini della Guardia di finanza hanno trovato in uno dei cassetti della scrivania di Villani copie degli estratti conto dei conti correnti privati di Laguardia. A rivelarlo è stato il procuratore stesso: “Sono rimasto sorpreso anche io – ha detto – ma su questo non posso indagare perché sarei parte lesa. Più avanti vedremo di cosa si tratta”.

Perché Villani possedeva quei documenti? A cosa sarebbero serviti? Come ha fatto a procurarseli? A chiarire questi interrogativi dovrebbe essere la Procura di Ancona, che tratta i reati che coinvolgono i magistrati, e gli sviluppi della vicenda potrebbero portare a ipotizzare nuovi reati che e allargare il campo delle indagini.

Di certo, come dimostrano le 145 pagine dell’ordinanza del gip Maria Cristina Sarli, che ha dato il via libera all’arresto del consigliere regionale Pdl, dell’ex sindaco di Parma Pietro Vignali, dell’ex amministratore della partecipata Stt Andrea Costa e dell’editore e imprenditore Angelo Buzzi, Villani e l’ex primo cittadino erano ossessionati dal conoscere i movimenti dei loro “nemici” per scatenare contro di loro una “macchina del fango”. Lo facevano con gli avversari politici: dall’ex sindaco Elvio Ubaldi, che aveva simbolicamente investito del proprio mandato il suo assessore all’Ambiente, sostenendolo nella corsa elettorale, per poi distaccarsi da Vignali, arrivando addirittura a criticare il suo operato in consiglio comunale e a mezzo stampa, fino all’ex alleata politica Maria Teresa Guarnieri, che poi aveva lasciato il centrodestra per fondare un movimento indipendente.

Anche la Procura era nel mirino del Pdl, con attacchi ripetuti attraverso le interrogazioni parlamentari del senatore Filippo Berselli, a cui Villani e Vignali avevano chiesto più volte aiuto per fermare le indagini dopo gli arresti di Green Money, Spot Money e Easy Money che avevano fatto tremare il Comune, arrivano perfino a scomodare l’ex ministro alla Giustizia Angelino Alfano.

Lo scrive il gip nell’ordinanza: dopo gli arresti del 24 giugno 2011 che avevano coinvolto anche dirigenti comunali e stretti collaboratori del sindaco Vignali, “frenetica e immediata era l’attività dei due volta ad acquisire notizie sulle indagini, ma soprattutto a cercare il sistema di arginarle”. A inizio luglio Villani chiama Vignali e il sindaco gli chiede di prendere appuntamento con Alfano. In un’altra conversazione il primo cittadino spiega a Villani che avrebbe incontrato Alfano perché “adesso ho scatenato Letta”. È lo stesso Vignali a raccontare al consigliere di aver parlato con la segreteria del sottosegretario Gianni Letta e di avergli riferito di “un problema riguardante Parma di cui doveva parlare con il ministro Alfano”.

Il tentativo di remare contro il lavoro della Procura prosegue anche dopo l’arresto a settembre 2011 dell’allora assessore comunale alle Politiche educative Giovanni Paolo Bernini, membro del Pdl, che poi porterà alle dimissioni Vignali. L’avvenimento provoca una serie di reazioni e la mano del Pdl è sempre tesa verso i vertici nazionali con l’obiettivo di assestare un colpo alla giustizia ducale. Il gip scrive che Villani chiama Vignali dicendogli che “deve parlare con Berlusconi e che gli deve dire che c’è stato un ulteriore assalto della magistratura e che per poter tenere la maggioranza è necessario firmino un decreto”.

Purtroppo a nulla serve la richiesta di aiuto. A inizio ottobre Vignali non è già più sindaco, ma tenta comunque di mettersi in contatto con la Finanza per avere informazioni sulle indagini e cercare di arginarle. Intanto la strategia continua: Villani con un sms comunica di avere incontrato Berselli che “ha detto di fare una cosa come presidente della Commissione Giustizia”. E puntuali, nei mesi successivi, arrivano le interrogazioni parlamentari di Berselli contro Laguardia e il pm Paola Dal Monte, fino alla richiesta di ispezioni da parte del Csm nella sede della Procura di Parma.

Gli attacchi del Pdl alla magistratura ducale non si fermano nemmeno con l’arresto di uno dei loro più illustri rappresentanti. Dopo lo scandalo Public Money che ha stretto le maglie intorno a Villani, Berselli punta ancora il dito contro Laguardia insieme al coordinamento provinciale del Pdl, esprimendo solidarietà al consigliere regionale. “La particolare tempistica degli arresti, in piena campagna elettorale, alla vigilia della presentazione delle liste per le elezioni politiche, rappresenta l’ennesimo tentativo di condizionare il voto popolare – scrive nella nota il coordinamento – Questa vicenda rafforza in noi la determinazione nel condurre la campagna elettorale a fianco di Silvio Berlusconi per salvare il paese dalle oligarchie e dalla sinistra conservatrice loro alleata”. Il gruppo ducale però questa volta si spacca: non tutti condividono il testo e tre di loro si rifiutano di firmarlo. Tra questi anche Paolo Zoni, l’ex assessore al Commercio di Vignali, che insieme ad Alessandro Corvi, presidente della sezione di Parma della Giovane Italia, l’associazione giovanile del Pdl, e a Maria Cristina Mangiarotti, si sono astenuti dalla mozione.

di Silvia Bia e Emiliano Liuzzi

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