Parigi, 1971. Gillessta finendo le superiori e, assieme ai suoi compagni, sembra profondere massimo impegno a sovvertire l’ordine costituito: volantinaggio, manifestazioni, violenti scontri con la polizia, nottate a imbrattare la scuola e un brutto incidente che manda in coma un vigilante dell’istituto. La rivoluzione è nell’aria. Ma Gilles è più interessato alla pittura che non alla politica. Dopo che la sua ragazza molto hippy, Laure, lo lascia per andare a Londra con la madre artista, Gilles inizia a frequentare Christine con cui va in Italia durante le vacanze assieme a un gruppo di cinefili maoisti. Dopo un viaggio per comuni, in Toscana, Christine resta con i documentaristi in Italia e Gilles torna a Parigi per iscriversi all’accademia di Belle Arti. L’ultimo vento del maggio parigino lo guiderà verso il cinema.

“La rivoluzione del ’68 ha avuto un risultato estetico, non politico”, così il regista Olivier Assayas commenta il percorso del protagonista di Aprés Mai – Qualcosa nell’aria (nelle sale da giovedì). Film ampiamente autobiografico come mostra anche la figura del padre di Gilles che, come quello di Assayas, fa lo sceneggiatore per la televisione. Film asciutto e convinto nel definire i percorsi divergenti dei protagonisti – come a dirci che il momento più “rivoluzionario” e collettivo del dopoguerra è stato in realtà la piena realizzazione dell’individualismo di massaAprès Mai è totalmente scevro da nostalgie. Assayas parte da una scuola, da un gruppo, per poi distanziare sempre di più i suoi giovani tra loro: la comunanza finisce in fretta e quando si tratta di andare all’università e scegliere cosa si vuole diventare, le persone badano a realizzare se stesse. Così Gilles finirà per dedicarsi ai film, il suo amico Alain alla pittura e al design, la politica verrà presto abbandonata (con i suoi insopportabili dogmatismi, rappresentati efficacemente dagli stolidi documentaristi che propongono film sui contadini del Laos) mentre alle ragazze non andrà ugualmente bene. Il ruolo della donna, alla faccia del femminismo, è trattato con inusuale lucidità. I personaggi maschili sono scettici, altalenanti nel proprio blando romanticismo e decidono delle loro vite in autonomia (“L’arte è solitudine”, dice Alain); le femmine sono più dipendenti, più insicure e hanno bisogno di un mentore, o banalmente un fidanzato, per appropriarsi di una posizione nel mondo. Le tre ragazze del film (Laure, Christine e la fidanzata di Alain, Leslie) hanno destini diversi, ma è attraverso il rapporto con un uomo (che le fa soffrire) che naufragheranno o, forse, rinasceranno. Hanno comunque un ruolo più parassitario all’interno di un mondo essenzialmente maschile. Assieme alla disillusione politica (l’afflato si trasforma ben presto in disimpegno) Après Mai racconta anche la disillusione della parità. Se il sessantotto e gli anni Settanta sono ancora, in parte, un argomento controverso (specie in Italia), il francese Assayas lo storicizza togliendogli incanto e raccontandone le peculiarità, le luci e le ombre, come si potrebbe fare per qualsiasi epoca.

Girato con grazia, recitato con lievità da molti non-attori, scritto con cura, proprio per il suo approccio realista, Après Mai è un film amaro: i 40 anni che sono passati sembrano ere, talvolta il film sembra “in costume” e i personaggi fantasmi del tempo. Amaro lo è, però, soprattutto perché rivela quanto l’utopia fosse proprio in quel momento più fragile che mai (il padre di Gilles è molto più vicino alla società del figlio), quanto il cambiamento fosse mirato al proprio soddisfacimento personale.

Nota a margine: la colonna sonora con Soft Machine, Syd Barrett, Captain Beefheart, Incredible String Band, Nick Drake e altro ancora è da cultori della materia.

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