I momenti elettorali, compresi i pessimi (quale quello in cui siamo immersi), sono un po’ come la linea del fuoco: ci svelano la natura più segreta, il vero carattere dei vari contendenti. Per taluni – leggi il Berlusconi al di sotto di ogni sospetto – non ce n’era proprio bisogno, per altri il disvelamento può ingenerare qualche sorpresa, magari delusione; soprattutto tra i fan più sfegatati. Ad esempio il recentissimo flirt romano tra Beppe Grillo e un capoccia dei fascistoni razzisti nostalgici asserragliati in Casa Pound, immortalato da un video in cui il controller di M5S dice cose apparentemente sconnesse (tra l’altro dimostrando perché si sottrae sistematicamente al dibattito: senza la coperta di Linus del testo scritto perde molto in quanto a sicurezza e assertività. Ma non è un problema solo suo…).

Il fatto è che lo smarrimento delle categorie di giudizio, annegate nel pancotto dell’ecumenismo (furbesco) rende pressoché impossibile tracciare distinzioni.

In particolare, già più volte è stato ribadito come il conclamato superamento del discrimine tra destra e sinistra suoni chiaramente a operazione di destra: il cui mimetismo consente manovre “mordi e fuggi”, ma dietro al quale si ritrovano tutti i (dis)valori del pensiero reazionario. Nel caso di Grillo, solo i suoi santificatori più naif possono stupirsi; essendo ormai noto che da ragazzino faceva campagne elettorali per sottopancia di Alfredo Biondi, futuro ministro sfasciagiustizia dei primi governi Berlusconi. Attività legittima quanto rivelatrice, riguardo alle frequentazioni (che del resto erano coerenti con il suo futuro di comico, visto che la cultura politica di quei destrorsi non superava i basici della goliardia).

Sul fronte opposto assistiamo certamente alla mutazione comportamentale di Mario Monti, nel passaggio dalla sobrietà alla tracotanza; ma anche all’utilizzo di un ricco campionario di fumisterie, messe all’opera per gabbare i creduloni: dove trova riscontro la trita retorica della “società civile” (naturalmente buona in quanto sorgiva) nella ricca filiera di abituali frequentatori dei Palazzi del potere – dunque politici sottotraccia e/o di complemento – che va a comporre le liste montiane? Un’altra sincope del principio della distinzione come esercizio critico. Operazione profilattica per la sanità mentale in politica, che non trova riscontro neppure nelle pattuglie colore arancione guidate dalle star del contropotere meridionale; il cui principale punto debole concettuale è quello di ritenere che le complessità italiane si riducano a quanto avviene nelle aule di giustizia (tanto da aver perso sponsor iniziali del calibro di Luciano Gallino). Se Monti ci propina il fasullo dell’ecumenismo civile (la bugia dell’interesse generale a vantaggio di banchieri e altri privilegiati), Ingroia e soci si riflettono nello specchio deformante della legalità come bacchetta magica per liberare l’Italia dal groviglio di magagne che la soffocano (a parere dello scrivente, prima di tutto economiche e sociali. Leggi la crescente disuguaglianza).

Ma nella confusione deliberatamente perseguita non ci aiuta neppure l’amico di famiglia Pierluigi Bersani, anche lui prigioniero di quel “tutti insieme appassionatamente” che costituisce l’eterno “basso continuo” del buonismo sinistrese. Infatti, che altro è ripetere la presa per i fondelli veltroniana affiancando confindustrialesi a precari? Anche se ora non c’è più il falco di Federmeccanica, il trimalcionesco Massimo Calearo, e si va
sul diafano candidando l’ex direttore dell’associazione industriali Gianpaolo Galli. Sempre l’inestirpabile mania di liste omnibus, in cui ci trovi tutti e il contrario di tutto, proprio per acchiappare un consenso indeterminato. Quella corsa nell’area dell’indistinto che i signori della politica chiamano “centro” ma è solo la convergenza delle non decisioni. Il viatico elettorale che consente alla corporazione politicante di continuare a non rendere conto altro che a se stessa.

Il motivo per cui chi scrive queste note vota e suggerisce di votare solo chi promette il risultato minimo di inceppare l’andazzo (visto che le promesse mirabolanti non sono minimamente credibili).
Un voto dato – secondo l’orrenda metafora di Indro Montanelli – “turandosi il naso”.

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