Adesso sono tutti in coda a dire che non si poteva fare diversamente, che l’accordo tra Pdl e Lega era davvero inevitabile e che, insomma, ora l’unica cosa da fare “è vincere”. “Possiamo definirlo un prezzo da pagare”, ha ammesso Matteo Salvini, “ma ai malpancisti di oggi risponderemo con i fatti: le elezioni in Regione saranno un referendum tra monarchia e repubblica, e la repubblica è l’indipendenza della Lombardia: nove su dieci hanno compreso che l’accordo era l’unica strada possibile”. E Cota:”Il candidato premier si deciderà successivamente, adesso pensiamo a vincere e a realizzare il nostro progetto politico”. Persino Flavio Tosi, uno che – è noto – Berlusconi non lo può proprio vedere: “Capisco che ci potranno essere anche dei mal di pancia, però l’accordo con il Pdl porta vantaggi anche per il Veneto e per questo da noi accettato: ci assicurerà nuove e importanti riforme dal punto di vista federalista: le motivazioni strategiche di questa nuova alleanza – ha spiegato Tosi – sono infatti senz’altro più favorevoli alla Lega che al Pdl”.

Applausi. Ma dietro le quinte il malumore è pesante, la delusione cocente. “Cos’è successo di così stravolgente in un mese?  – postava ieri su Facebook un vecchio bossiano di lungo corso come Flavio Tremolada – Solo adesso si è scoperto che da soli si perde? Ci si allea con Berlusconi perché è d’accordo che il 75 % delle tasse rimane al Nord? Bossi nel 2008 aveva concordato l’80%. Ma Bossi non è stato “pensionato” perché faceva accordi con Berlusconi?”.

Ecco, l’idea generale è un po’ questa, nonostante i proclami dei vertici leghisti. C’è, comunque, un’unica questione reale alla base di questa decisione che potrebbe costare molto cara a Maroni, seppure sulla media distanza: senza il Pdl, il Carroccio non aveva alcuna chance di conquistare la Lombardia, con il partito del Cavaliere alleato le possibilità aumentano. Ma non possono comunque considerarsi decisive. Secondo le rilevazioni condotte tra il 3 e il 6 gennaio da Scenaripolitici.com, la strategia di «Prima il Nord» lancia il candidato governatore padano al 37,5% mentre lo sfidante Umberto Ambrosoli, in campo per il centrosinistra, resta fermo per ora al 35%.

Si potrebbe pensare che l’azione temeraria dei leghisti di tornare tra le braccia di Berlusconi, alla fine, abbia pagato. Ma c’è una vera e propria incognita sul campo. Ed è quella rappresentata da Gabriele Albertini: l’ex sindaco di Milano tenta la corsa in solitaria anche se ha ricevuto il sostegno dell’area montiana, ma il suo peso elettorale è ancora da valutare e attualmente si assesta intorno al 12,5%. C’è da dire, comunque, che il clima generale non è affatto favorevole al centrodestra. E anche se il bacino potenziale dell’asse Maroni-Berlusconi è davvero ampio, il combinato tra elezioni regionali e politiche nazionali potrebbe non girare a favore del segretario del Carroccio.

Nonostante la sottovalutazione di alcuni istituti di sondaggio, come la Swg di Weber, i mal di pancia della base leghista, alla fine, potrebbero rappresentare un vero problema di gestione del voto di base per Maroni. Se Albertini, infatti, appoggiato dai centristi, dovesse superare il 14%, per la Lega le possibilità di trasformare la Lombardia nell’ultimo tassello della macro regione del Nord potrebbero dirsi sfumate per sempre.

E’ dunque una battaglia che si gioca su un crinale molto sottile, di pochi punti percentuali. E a cui è appesa anche la sorte di Maroni stesso. Comunque vada, non sarà più il leader del Carroccio, carica conquistata solo sei mesi fa. Lo ha detto ieri: se vince si dimetterà da segretario, per “lasciare il posto a un giovane”. Ma sarà costretto a farlo, e a maggior ragione, pure in caso di sconfitta. Perché a quel punto, tutto sarà perduto e la Lega non ci sarà più. Almeno non così come la conosciamo ora.  Sarà una Lega che parlerà veneto, probabilmente, e avrà come capo indiscusso Flavio Tosi.

L’epilogo di questi ultimi giorni di trattativa, di inchieste e, infine, di voto, non potranno portare che a questo. A tenere su il Carroccio, paradossalmente, potrebbe essere proprio il partito berlusconiano. E non è una bella sensazione per chi, solo pochi mesi fa, agitava la ramazza a Bergamo urlando “mai più con Berlusconi” ed altre frasi ad effetto solo per polarizzare la base verso il nuovo segretario. Maroni sembra stia conducendo una partita personale mascherata da “rifondazione leghista” nel segno della conquista (difficile, per non dire impossibile) della macro regione del nord. Dal Pirellone potrà forse salvare se stesso,  ma in caso di vittoria, soprattutto se di esile misura, come potrebbe inevitabilmente prospettarsi, poi se la dovrà vedere con una maggioranza che non farà sconti. Soprattutto a lui. E governare la Lombardia potrebbe diventare persino più difficile del muovere un ministero delicato come quello dell’Interno.

C’è, infatti, una promessa che Maroni ha fatto ai suoi e che ha messo nero su bianco nel patto con Berlusconi: quella di trattenere almeno il 75% delle tasse pagate dai residenti sul territorio regionale. In termini assoluti il provvedimento varrebbe risorse aggiuntive per 20 miliardi l’anno. Peccato per lui che Bossi, quando era ancora forte – come ricordava Tremolada – chiese a Berlusconi la stessa cosa, arrivando a strappare fino all’80% la percentuale di tasse che sarebbero rimaste in tasca ai “lumbard”: ovviamente non se ne fece assolutamente mai di nulla. Un terreno molto scivoloso, dunque, per il segretario leghista. Non sulla breve, ma sulla lunga distanza.

La domanda politica, a questo punto, è la seguente: Pdl e Lega riusciranno a resuscitare il formidabile rapporto con la società del Nord che ha permesso loro di restare l’incontrastato baricentro della politica italiana per vent’anni? Sembra passato un secolo dalle elezioni politiche del 2008, quando il centrodestra unito fece il pieno dei consensi dei piccoli imprenditori, dei professionisti e del popolo delle partite Iva. Ecco perché anche questa volta, quella promessa fatta da Berlusconi in caso di vittoria è solo un modo per aiutare Maroni a convincere la sua base della bontà dell’accordo, ma tanto l’epilogo sembra ormai evidente: il segretario leghista perderà probabilmente la Lombardia e – di conseguenza – la sua base. Poi Tosi gli ruberà quel che resta del Carroccio. Semprechè l’inchiesta in corso a Roma non faccia precipitare di nuovo tutto molto prima del previsto.

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