Le lobby affilano le armi e si preparano a un duro pressing su Barack Obama, dopo le promesse di provvedimenti contro finanza, armi e petrolio che il presidente americano dovrà mantenere nel 2013. Morgan Stanley ha assunto cento specialisti per “focalizzarsi” sulla legge Dodd-Frank, varata da Obama nel 2010 per regolamentare il settore finanziario e attuata solo in parte, mentre la lobby più potente schierata a difesa delle armi da fuoco ha risposto alla sparatoria nella scuola elementare di Newtown, in Connecticut, chiedendo che vengano portate più armi all’interno degli istituti, in mano a una guardia per ogni scuola. Sul fronte energetico, infine, si fa sempre più serrato il braccio di ferro tra Obama e i giganti canadesi del petrolio per la realizzazione del maxi oleodotto Keystone XL che porterebbe il petrolio dal Nord America alle raffinerie texane.

OBAMA PROMETTE LA LINEA DURA CONTRO WALL STREET – Il rafforzamento degli investimenti in attività di lobbying tra le principali banche d’affari di Wall Street preannuncia un irrigidimento dei regolamenti nel settore, necessari per mandare a regime la riforma. Chiuso il capitolo delle elezioni presidenziali, l’amministrazione Obama comincia infatti a fare sul serio, senza paura di perdere voti. “L’anno prossimo passeremo ai fatti”, ha avvertito Gary Gensler, presidente dell’agenzia di regolamentazione Commodity futures trading commission. L’ottimismo di chi sostiene le manovre per regolamentare Wall Street è basato anche sulla probabilità che l’anno prossimo la Casa Bianca nomini un quinto commissario democratico alla Sec, la Consob americana, che romperebbe lo stallo sulle riforme finanziarie causato dai commissari repubblicani, che ora sono due su quattro. In questo caso i provvedimenti contro le banche newyorkesi potranno anche andare oltre la riforma Dodd-Frank.

Ma i lobbisti di Wall Street non stanno a guardare e si preparano a ostacolare ogni tentativo di riforma. L’obiettivo delle banche, guidate da quelli che Obama ha definito “i gatti grassi” di Wall Street, è fare pressing sulle autorità per introdurre delle correzioni alla riforma Dodd-Frank e renderla meno severa. L’avvicinamento a Washington è stato un buon investimento per le banche negli ultimi mesi. I lobbisti schierati dagli istituti hanno infatti proposto alle autorità numerosi studi per dimostrare i costi eccessivi di una regolamentazione del settore, causando un ritardo notevole nell’adozione dei provvedimenti.

E quando l’attività di lobbying non basta, le banche portano le autorità di regolamentazione in tribunale. I regolatori hanno ricevuto cinque denunce da società finanziarie, che lamentavano provvedimenti troppo severi all’interno della riforma Dodd-Frank. L’organizzazione commerciale Security industry association, per esempio, ha avviato un’azione legale contro la Commodity futures trading commission per una riforma che voleva porre dei paletti al trading speculativo di materie prime.

LE LOBBY DELLE ARMI PROPONGONO DI SEGUIRE L’ESEMPIO ISRAELIANO – Le pressioni sulla Casa Bianca non provengono soltanto da Wall Street. Le lobby che sostengono il mondo delle armi da fuoco sono entrate a gamba tesa nel dibattito politico dopo le parole di Obama che, alla luce dell’ultima drammatica sparatoria, si è detto pronto ad adottare regole più severe sulla vendita di pistole e fucili. “L’unica cosa che ferma un cattivo con una pistola è un buono con una pistola”, ha dichiarato Wayne LaPierre, amministratore delegato della National rifle association, sottolineando che “gli squilibrati approfittano del fatto che le scuole sono spesso considerate zone vietate alle armi”. LaPierre ha proposto quindi di “seguire l’esempio israeliano” e fare sorvegliare ogni scuola da una guardia armata.

La potente lobby americana ha ribadito inoltre la contrarietà a qualsiasi misura restrittiva sul possesso di armi, respingendo il progetto presentato dalla senatrice democratica Diane Feinstein e appoggiato negli ultimi giorni da Obama. Il presidente americano, come ha fatto sapere la Casa Bianca, ha deciso di “sostenere attivamente” la reintroduzione del bando delle armi d’assalto, in vigore dal 1994 al 2004, che Feinstein presenterà al Senato di Washington.

I lobbisti che stanno dietro alle società produttrici di armi si sono insediati a Washington negli ultimi anni, raggiungendo la maggioranza in Congresso grazie alla rigida interpretazione del secondo emendamento della Costituzione, che stabilisce il diritto a possedere armi, e bloccando così i provvedimenti più rigidi e gli stanziamenti pubblici per la ricerca sulla violenza. I traguardi delle lobby sono evidenti anche a livello locale. In Michigan, grazie a una riforma approvata nelle ultime settimane, il permesso a circolare con armi da fuoco è valido anche in scuole, chiese, bar, ospedali e stadi. In Missouri, inoltre, è possibile circolare con un’arma e fare fuoco anche per chi è ubriaco o minore di 18 anni, a patto che sia per legittima difesa.

Il risultato dell’alleggerimento dei regolamenti sono 270 milioni di pistole e fucili in circolazione, quasi uno per abitante, che frutteranno quest’anno alle aziende del settore utili per circa 1 miliardo di dollari su un fatturato di 11,7 miliardi.

BRACCIO DI FERRO TRA OBAMA E I BIG DEL PETROLIO – La terza principale area d’interessi forti con cui deve fare i conti il presidente americano è quella del petrolio. Al centro del dibattito resta l’oleodotto Keyston XL, che attraverserebbe gli Stati Uniti portando 700.000 barili di petrolio al giorno dal Canada alle raffinerie del Texas. Grazie allo sfruttamento delle sabbie bituminose nella regione dell’Alberta, infatti, il Canada sta aumentando rapidamente l’estrazione di petrolio. Risulta quindi cruciale la costruzione del maxi oleodotto, sospesa su decisione di Obama, per distribuire l’oro nero negli Stati Uniti. Il governo e i giganti petroliferi canadesi hanno assoldato così i migliori lobbisti in circolazione per convincere Obama a tornare sui suoi passi e dare via libera all’oleodotto.

Il presidente americano, tuttavia, è reticente e conferma che la sua ricetta per quanto riguarda l’energia resta diversa: l’appoggio alle fonti energetiche rinnovabili, contro l’opinione repubblicana che punta sul petrolio per raggiungere l’indipendenza energetica il prima possibile, ad ogni costo. E il rapporto tra Obama e i leader del settore petrolifero, secondo gli osservatori, è destinato a peggiorare nei prossimi mesi. “Nel secondo mandato Obama farà attuare velocemente leggi federali che limiteranno le trivellazioni per le aziende petrolifere e irrigidiranno gli standard per le emissioni inquinanti”, ha avvertito il senatore repubblicano James Inhofe, “facendo aumentare i costi energetici, provocando milioni di licenziamenti e indebolendo ulteriormente l’economia”.

L’inquilino della Casa Bianca, in effetti, ha già compiuto i primi passi in tale direzione. Nelle ultime settimane, dopo l’esito delle elezioni presidenziali che ha visto uscire seccamente sconfitto il repubblicano Mitt Romney, l’agenzia governativa a tutela dell’ambiente Environmental protection agency ha proposto nuove norme da imporre alle aziende per limitare le emissioni industriali e alle case automobilistiche per l’utilizzo di motori e carburante più pulito. Ma le decisioni più importanti da prendere sono ancora sul tavolo. L’ultima parola spetta a Barack Obama, che dovrà trovare un equilibrio tra le promesse da mantenere e le pressioni delle lobby.

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