Se l’atmosfera natalizia vi ha suggerito qualche riflessione sul significato del dono in una società governata dalle leggi di mercato, sappiate che vi state inserendo in un filone di pensiero in crescita esponenziale. Solo il tempo ci dirà se la crisi che stiamo attraversando rappresenti davvero la fase terminale del capitalismo nella sua forma attuale come pensano alcuni e come tanti avevano pensato già dopo il 1929. E’ però fuori di dubbio che stia stimolando approfondite riflessioni su modelli alternativi di sviluppo: fioccano pubblicazioni di economisti, sociologi, antropologi, geografi che analizzano le esperienze di aree “marginali” del pianeta dove sopravvivono, e in alcuni casi prosperano, forme di organizzazione sociale ed economica alternative. Oppure che riscoprono esperienze che appartengono al passato, alla ricerca di spunti per ripensare i concetti su cui si regge il mondo capitalista.

L’OGGETTO RUBATO CHE I KANAK TRASFORMANO IN AMBASCIATORE. Un grimaldello per scardinare la categoria di proprietà -possesso onnipresente nel nostro rapporto con gli oggetti, lo forniscono ad esempio i Kanak, popolazione autoctona della Nuova Caledonia. Questa comunità, che in passato ha subito furti e sottrazioni di ricchezze e oggetti ad opera dei popoli occidentali, ha scelto di non esercitare il suo diritto alla restituzione di questi beni che sarebbe riconosciuto a livello internazionale. All’oggetto sottratto viene infatti attribuito un ruolo di  “ambasciatore”: non importa se è stato portato via con la violenza, quello che è importante è che porti in giro per il mondo la cultura della loro civiltà. Un ragionamento che rimanda alle complesse dinamiche sociali del dono che quasi ovunque hanno ceduto alle logiche di mercato, ma che secondo diversi studiosi andrebbero recuperate per impostare modelli economici più sostenibili. Sottraendo almeno alcuni beni comuni alla circolazione commerciale e facendone un uso che rafforzi anche i legami sociali nelle collettività.

LA RIDISTRIBUZIONE DEI CAPI INDIANI. Molti dei nostri politici potrebbero invece trarre profonda ispirazione dagli antichi riti ‘potlach’ praticati dalle tribù indiane delle coste nord occidentali statunitensi. Raduni solenni in cui i capi delle comunità re-distribuivano alla collettività il surplus della produzione realizzata dalla comunità durante l’anno. E soprattutto nel farlo si scusavano solennemente per la modestia dei loro doni indipendentemente dal loro effettivo valore.

LA BANCA DEL MAIALE MELANESIANA. Tornando ai giorni nostri l’antropologo-economico Matteo Aria, che insegna nelle università di Torino e Firenze, racconta l’esperienza delle isole Vanuatu, in Melanesia. Un vero e proprio laboratorio sociale in cui si tenta, con un discreto successo, di far convivere modelli economici arcaici e indigeni con logiche di mercato di matrice occidentale. Qui, con l’appoggio dello Stato, è nata la ‘banca del maiale’, definizione che da noi potrebbe essere facilmente utilizzata in senso figurato, ma che alle Vanuatu va invece presa in senso letterale. Nell’arcipelago il maiale, e in particolare i suoi denti incisivi inferiori le cui dimensioni sono della forza e delle dimensioni dell’animale, hanno infatti un forte valore simbolico e sociale che attraverso la banca diventa economico. Depositando i denti del maiale si possono pagare servizi come le rette scolastiche per i figli oppure le cure ospedaliere. Denti di maiale che diventano così a tutti gli effetti denaro.

COCAINA, SIGARETTE E SANGUE. Del resto, esempi simili nel presente o nel passato abbondano. In passato cerchietti di cuoio, semi, pietre hanno funzionato in qualche modo da denaro. Da sempre le sigarette sono sostituiscono il denaro in molte carceri o luoghi di detenzioni, nei primi anni della guerra, a Baghdad persino il sangue trasfuso è diventato un bene “quotabile”, mentre alcune tribù del Pacifico utilizzano ancora conchiglie come monete e in alcune zone della Colombia si possono fare acquisti nei supermercati pagando con cocaina. E si potrebbe continuare. Di fronte a queste curiosità siamo autorizzati a sorridere giusto il tempo che impieghiamo a infilarci una mano in tasca ed estrarre uno dei pezzetti di carta colorata o dei dischetti di metallo che ogni giorno usiamo per avere in cambio un vestito, del cibo, del carburante o qualsiasi altra cosa. In fondo la moneta non è altro che la promessa di un pagamento che in pratica non avviene mai e che proprio per questa ragione può circolare. Il gioco funziona finché tutti partecipano e finché c’è qualcuno, lo Stato, in grado di far rispettare le regole. Che questa promessa venga incorporata in un oggetto piuttosto che in un altro ha qualche differenza di natura pratica (monete e banconote si conservano facilmente e consentono di far di conto in un modo più agevole e preciso) ma dal punto di vista concettuale non cambia poi molto.

IL PERCORSO INVERSO DEL CICLO BARATTO – MONETA – CREDITO. Attenzione poi a liquidare alcuni di questi sistemi di pagamento come primitivi. Gli studi più recenti e approfonditi hanno infatti messo in discussione molte delle presunte certezze vendute su tanti testi di economica. Come sottolinea anche l’antropologo David Graeber nel libro Debito. I primi 5000 anni, il percorso baratto – moneta – credito non sarebbe in realtà mai storicamente avvenuto. O meglio, è avvenuto ma nella direzione esattamente opposta. Sistemi di credito che non differiscono poi molto dalle nostre carte Visa, Amex e quant’altro, sarebbero di molto antecedenti alla nascita dei sistemi monetari. Il baratto non sarebbe mai stato usato come sistema completamente alternativo all’uso di moneta, ma impiegato fondamentalmente solo negli incontri con popolazioni straniere. Meccanismi e strumenti di pagamento che associamo alla modernità avrebbero insomma preso forma in epoche molto remote. Quel che è certo è che da quando ha fatto la sua comparsa la moneta è stata avvolta da un alone di mistero che ha alimentato teorie esoteriche e di oscuri complotti più o meno fondate. Dopo tutto nell’uso quotidiano del denaro tutto appare semplice e scontato, ma i sistemi monetari sono retti da logiche piuttosto complesse. Di questa semplicità solo apparente Stati e governati hanno spesso approfittato, qualche volta davvero troppo.

Dionisio di Siracusa, sovrano nella magna Grecia del quarto secolo avanti Cristo, escogitò ad esempio un sistema “infallibile” per rimborsare i prestiti contratti con i suoi sudditi sotto forma di promesse di pagamento. Ritirò tutte le dracme in circolazione e fece imprimere il valore di due sulle monete che originariamente valevano uno. Ripagò così formalmente i suoi debiti ma in pochissimo tempo tutti i prezzi raddoppiarono e i sudditi creditori si trovarono di fatto al punto di partenza . Per secoli è stato in uso da parte dei governanti la pratica della tosatura. Le monete ufficialmente mantenevano invariato il loro valore ma la autorità “tosavano” la moneta riducendo la quantità di metallo prezioso che contenevano. Il ricorso agli illusionismi monetari sopravvive in forme più o meno fantasiose anche ai giorni nostri. Come inquadrare altrimenti la recente iniziativa della Lega Nord pronta a dar vita al ‘Lumbard’? Secondo i promotori questa moneta virtuale della Padania “aiuterebbe l’economia lombarda ad uscire dalla crisi”. Come e perché rimane uno dei tanti misteri dei sistemi monetari.

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