Un0 degli aspetti più iniqui e vergognosi delle società capitalistiche è costituito da quello che Antonio Ingroia ha giustamente definito il carattere classista della giustizia. Una giustizia, per dirlo in parole povere, pronta a sanzionare in termini sproporzionati i poveracci, ma che non vuole colpire invece coloro che si arricchiscono violando ogni genere di norma, i corrotti, gli evasori fiscali, i piduisti, i mafiosi e camorristi d’alto bordo. E’ solo in tempi relativamente recenti che, grazie all’impegno di magistrati, carabinieri e poliziotti che pagarono spesso con la vita la loro scelta, la giustizia ha cominciato a prendersela con i soggetti da ultimo citati. E ovviamente c’è chi vorrebbe che si tornasse ai bei vecchi tempi dell’impunità per i vertici della malavita organizzata e alla loro pacifica convivenza con quelli dello Stato. 

Ciò non toglie che, nel suo complesso, la giustizia come dice appunto Ingroia abbia mantenuto un suo carattere classista. Carattere che emerge con forza in tempi di crisi come l’attuale. Un indice utile per misurare l’intensità di tale carattere è dato dall’analisi della composizione della popolazione carceraria. Come constatato dai giuristi democratici in un recente  comunicato: ” Il carcere si configura sempre di più come contenitore del conflitto, come discarica sociale e strumento atto a confinare donne e uomini delle classi sociali meno abbienti, in quanto tali, ritenute pericolose. Circa l’80 per cento della popolazione carceraria è, infatti, costituita dalla cosiddetta detenzione sociale, ovvero da persone che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità (immigrati, tossicodipendenti, emarginati) per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero necessarie politiche di prevenzione e sociali appropriate”. Un dato che non riguarda solo il nostro Paese ma tutto l’Occidente capitalistico, a cominciare dal suo Stato guida, che presenta non a caso il massimo tasso di carcerazione del mondo e dove a finire in galera sono soprattutto i componenti di etnie diverse da quella bianca dominante.

Come scrive Leonardo Arnau, bravo avvocato padovano membro dell’attuale Comitato esecutivo dei giuristi democratici, il sovraffollamento carcerario è dovuto a due fattori: “Il primo è quello normativo, laddove alcune novelle legislative adottate in ambito penale hanno cominciato a dare frutti a pieno regime, in particolare, la c.d. Bossi–Fini, in materia di immigrazione (particolarmente dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 94/2009), la Fini–Giovanardi (L. n. 49/2006) in materia di contrasto al traffico di stupefacenti e la c.d. ex Cirielli (L. n. 251/2005) che inasprisce sensibilmente le sanzioni penali e rende più difficile l’accesso ai benefici penitenziari per i recidivi, che costituiscono la grande maggioranza dei detenuti nelle carceri, detenzioni, queste ultime, molto spesso legate alla piccola e piccolissima criminalità, di cui la recidiva è fattore caratterizzante. Il secondo fattore è quello culturale, che vede competere alcune forze politiche nel chi grida più forte alla sicurezza pubblica ed alla tolleranza zero. Si è, in definitiva, smarrito il senso del risolvere i problemi dei cittadini con strumenti diversi da quello carcerario. Se questo è il messaggio che viene dalla politica è evidente la ricaduta che ciò può avere sull’operato delle forze di polizia e della magistratura. Con ciò si spiega anche il dato relativo al numero di soggetti sottoposti alla misura cautelare massima”.

Occorre apprezzare l’impegno di Marco Pannella, che, come giustamente auspicato da Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, dovrebbe essere nominato senatore a vita.

Né serve costruire nuove carceri, si svuotino piuttosto quelle esistenti, anche per lasciare spazio ai veri criminali che continuano ad ammorbare la vita pubblica e l’ambiente del nostro Paese. A tal fine, non bastano, anche se talvolta possono rivelarsi indispensabili,  misure emergenziali e temporanee come l’amnistia.

La vera soluzione consiste nel varare misure di depenalizzazione che possano ovviare, almeno in parte, al rilevato carattere classista della giustizia italiana. A fronte dell’evidente insufficienza del recente decreto governativo in materia occorrono, come propongono i giuristi democratici ” interventi legislativi audaci ed efficaci che aggrediscano in modo definitivo le cause dell’intollerabile stato di sovraffollamento delle nostre carceri. E’, in definitiva, indispensabile cambiare approccio, abrogare le leggi che hanno, di fatto, creato criminalizzazione e carcerazione crescenti, per delineare la necessità del ritorno ad una nuova stagione del «diritto penale minimo», capace di comprendere ed incidere sulle effettive ragioni sociali della devianza e del crimine”.  

Un compito ineludibile per il prossimo Parlamento che presenterà auspicabilmente una percentuale inferiore di rinviati a giudizio rispetto al precedente, tenendo peraltro presente che data la gravità ed urgenza del problema possono rendersi come accennato indispensabili misure ad effetto immediato come l’amnistia e l’indulto.   

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