L’Alta Corte britannica ha detto “no”. Con una sentenza arrivata giusto in tempo per Natale, il tribunale ha deciso che il giovane Alan (nome di fantasia), bimbo di sette anni, dovrà essere curato con la medicina tradizionale. Il tutto contro il volere della donna che l’ha messo al mondo, salita agli onori delle cronache per aver rifiutato più volte la chemioterapia e la radioterapia, per essere scappata con il bambino non si sa dove per una settimana e per aver avviato una battaglia per il diritto alle cure “alternative”. Una madre, quindi, contro il tumore del figlio di sette anni. Ma ora anche contro l’ex marito, un giudice e il medico che vogliono obbligare il piccolo a fare la chemio e la radioterapia. “Se solo mio figlio dovesse soffrire, anche solo un minimo, denuncerò tutti. Se poi non dovesse sopravvivere almeno cinque anni come mi hanno promesso, li denuncerò nuovamente. Qui è in gioco il diritto di una madre a vedere felice il proprio figlio”, ha detto la donna, che è diventata in pochi giorni un personaggio mediatico, al centro dell’attenzione per tabloid e programmi televisivi strappalacrime.

Ma il giudice dell’Alta Corte, durante la sentenza, ha detto: “Questa madre si è affidata a Internet, ma noi sappiamo che la chemio e la radioterapia sono al momento le cure più efficaci. E nessuna delle soluzioni che la donna ha prospettato sono state ritenute valide dal medico legale”. Il Regno Unito intero ora si interroga su una storia che va ben oltre la superficie, per arrivare a simboleggiare, per alcuni, anche la crisi della famiglia in Gran Bretagna.

Il padre del bambino ha subito accettato le cure proposte dalla medicina ufficiale. Separatosi dalla moglie 18 mesi fa, l’uomo sta portando avanti una lotta anche per poter tenere con sé il figlio durante le cure, che, secondo il giudice, dovranno partire a metà gennaio. La madre vorrebbe invece portare il figlio lontano da Londra, ma c’è il rischio, dice il padre, che la donna sparisca di nuovo, mettendo a serio rischio la salute del bambino. Schiere di avvocati di famiglia, in questi giorni, parlano in televisione e sui giornali. “Non possiamo giocare le nostre battaglie di adulti sulla pelle dei bambini”, dicono. Intanto, il tumore al cervello del piccolo Alan cresce senza fermarsi e le cure ufficiali partiranno il prima possibile, non appena il piccolo sarà in forze. “Io voglio portare mio figlio negli Stati Uniti – dice ora la madre – qui nel Regno Unito la cura dei tumori è rimasta ferma agli anni Quaranta, mi propongono soluzioni, come la radioterapia, che risalgono a quegli anni lì”. Le raccolte di fondi sono iniziate, ma il giudice è irremovibile. “Il bambino dovrà iniziare le cure, e che siano pure cure tradizionali, qui nel Regno Unito. Il prima possibile”.

La madre teme soprattutto che il figlio rimanga menomato. “Sappiamo tutti che intervenire in questo modo sul suo cervello può influire sulle sue capacità relazionali, può renderlo sterile, alcuni mi prospettano addirittura mutismo e sordità. Io su Internet e tramite altri canali ho trovato nuove cure ed è mio diritto fidarmi di quello che mi dice il cuore”, ha detto la donna. Fra le proposte della donna, l’immunoterapia, la radioimmunoterapia e la terapia cosiddetta “fotodinamica”. Ma il medico ingaggiato dall’Alta Corte è stato chiaro: “Queste cure non sono scientificamente provate, almeno non per questo tipo di malattie, non le possiamo quindi accettare”. Con le minacce legali della donna, ora, il caso andrà sicuramente avanti. E nel cuore della madre c’è una sola consolazione: “Mio figlio è come un piccolo guerriero, è molto coraggioso, quasi da non crederci. Mio figlio sorride e combatte”

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