Questo fine dicembre da ex fine di mondo (post Maya) è stato davvero eccitante. Sebbene siamo ancora tutti vivi, le tensioni aumentano. L’ultimo in ordine di tempo è stato il premier russo Medvedev (che  pochi mesi fa era ancora il presidente russo Dmitrij Anatolievic Medvedev) che ha raccontato come e qualmente egli sia stato informato, nei quattro anni in cui è stato presidente, circa la presenza sul nostro pianeta, cioè sul territorio della Russia, di esseri provenienti da altri mondi.

Ha detto all’incirca che la famosa valigetta nera – che il presidente ha sempre a portata di mano e che contiene gli altrettanto famosi codici nucleari – è corredata da una serie di documenti, contrassegnati dalla scritta “Sovershenno Sekretno” (Top Secret), che tengono permanentemente informato il capo dello Stato sugli incontri più o meno ravvicinati della Terra con altre civiltà spaziali.

Tutto ciò è avvenuto sotto gli occhi delle telecamere. In un lampo tutto il mondo ne è stato informato.  Se vai su Google e scrivi Medvedev-Ufo, in una frazione di secondo ricevi 1 milione 300 mila link. 

Anch’io ricevo parecchie lettere, con richieste di commenti. Siccome sul web la quantità di verità presenti è spropositatamente inferiore a quella delle sciocchezze, l’anormalità è normale.

Vado anch’io a vedere il video. Dmitrij Anatolievic è, in effetti, molto serio mentre dice quello che dice. Alla fine si lascia andare. Dice, con enfasi, addirittura gesticolando, che tutto quanto è già stato rivelato, fin nei minimi dettagli, dal famoso film “Men in Black”  (1997, regista Barry Sonnenfeld).

Riesamino il filmato. Non si sa mai. Questa volta non guardo la faccia di Dmitrij Anatolievic, ma quella della giornalista che gli sta di fronte. Ride, divertita. E lusingata che il capo del governo le conceda una tale primizia.

Ride? Ma dovrebbe essere seria. Lei. Quando un giornalista fa uno “scoop”, di solito non ride. Si frega le mani ma non ha tempo per ridere. Già pensa a come farlo fruttare, a come lo racconterà. Invece la graziosa ragazza se la spassa. Anch’io trovo divertente che un ex presidente russo e premier in carica, senta il bisogno di imitare George Orson Welles che, il 30 ottobre 1938, via radio, tirò un pesce d’aprile agli americani annunciando l’invasione della Terra da parte di alieni malvagi.

“Non sono io – aveva esordito lo stesso Medvedev nel presunto fuorionda – che va a dire ai bambini che Babbo Natale non esiste”.  Solo che lui è andato oltre: ha detto che Babbo Natale esiste. Almeno quanto basta per fargli mettere sotto controllo il telefono.

Non mi resta che chiedere conferma a uno che la valigetta nera l’ha davvero tenuta, per sei anni, sul comodino in camera da letto, o nei pressi.

Il giorno dopo, a Istanbul, c’è un incontro promosso dal New Policy Forum (quello che qualcuno, sempre sul Web, mi ha accusato di frequentare nella mia qualità di “agente del nuovo ordine mondiale”), sui temi delle tensioni nel Mediterraneo e dintorni. Il titolo è: “Siamo alla vigilia di una grande guerra?” A quanto pare non sono il solo a pensarlo.

Presiede Mikhail Gorbaciov e io sono là con lui, come sempre. Davanti a noi si stende il Bosforo sfavillante di luci. Grandi navi passano lente, vicinissime, sovrastando i palazzi di Costantinopoli adagiati sulle rive. Il cielo è pieno di stelle, ma senza Luna. Siamo affacciati sull’Universo, con i nostri piedi affondati nell’antica città, e sopra di noi tutti i milioni e miliardi di anni che arrivano alla spicciolata, ritardatari, da quelle luci lontane, e prendiamo il tè come se non ci fosse, lassù, nessuno che ci guarda con l’occhio da entomologo. Non c’è occasione più propizia. “Ha sentito, Mikhail Sergeevic, del fuorionda di Dmitrij Anatolievic? Lei quella valigia l’ha aperta. Non è che, per caso, c’era dentro qualche papka (così si dice in russo quando si parla di dossier riservati ndr) sugli Ufo?” 

Più che una domanda nel merito, gli sto chiedendo un giudizio sugli uomini che sono arrivati al potere dopo di lui, ormai 21 anni fa.

Non ha visto, come sospettavo, nessun fuorionda. Ma qualcuno deve avergli raccontato qualcosa. I suoi 81 anni l’hanno un po’ appesantito, ma i riflessi restano buoni. E’ in piedi di fronte all’immensa finestra che è ora un quadro notturno, uno sfondo da film hollywoodiano, e non si volta nemmeno a guardarmi. Sta sfogliando il suo ultimo libro di memorie, da poco uscito in russo. E si accinge a scrivere la dedica che gli ho appena chiesto. Ha la  penna in mano e cerca un posto su cui appoggiare il volume. “Una totale scemenza”, dice sottovoce, come parlando tre sé e sé.  

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