È una rete di italiani all’estero: propongono idee concrete, rimangono in contatto e tentano di realizzarle. Mentre c’è chi cerca di teorizzare sistemi per sfruttare i talenti che vivono oltre confine, c’è qualcuno che questo sistema lo ha già messo in pratica. Si chiama Exbo ed è la rete di bolognesi che vivono in tutto il mondo, ma che sotto la guida di Maria Chiara Prodi, creatrice del progetto, hanno deciso di mettere a disposizione della città di origine le loro qualità. Il 29 e 30 dicembre 2012 si incontrano all’Urban Center di Bologna per il confronto annuale, alla ricerca di un dialogo con la loro città natale.

Exbo è la storia di un progetto che, nato nel 2008 da una decina di aderenti, ora conta più di 100 sottoscrizioni e potrebbe fare scuola in un’Italia che vede sempre più persone in viaggio per scelta o necessità. Nati a Bologna o bolognesi d’adozione, sono professionisti che non vivono più sul territorio, ma che non per questo si sentono cittadini italiani di serie B. È l’idea del “crowdsourcing proposta anche dall’ultimo ministro degli Esteri Giulio Terzi, ma esistente e funzionante nella realtà, tanto che potrebbe presto prendere il via in due altri poli: “Ex-Ge” a Genova e “Ex-Ve” a Venezia.

“In famiglia siamo tre figli e tutti e tre sparsi per il mondo per lavoro – dice Maria Chiara Prodi, la fondatrice del network di cervelli all’estero – All’inizio è nato per scherzo. Ogni Natale organizzavamo una festa per rivedere gli amici e preparavamo una cartina: ognuno degli invitati doveva inserire una bandierina per dire in quale Paese viveva in quel momento”. Maria Chiara è partita dall’Italia nel 2004 e non è più tornata, anche se con le attività che promuove per migliorare la sua Bologna, è come se non se ne fosse mai andata. “Ognuno di noi ha sempre sentito il bisogno di mantenere un legame con la propria città. Votiamo in Italia e siamo cittadini italiani. Non è che per il solo fatto che ce ne siamo andati all’estero siamo cittadini ‘minori’. Vogliamo dare il nostro contributo“.

Prodi, una laurea in scienze della comunicazione, diploma di pianoforte in conservatorio e uno stage a Radio France, da sei anni è assistente artistica all’Opera Comique di Parigi, un lavoro che ama e dice, sarebbe difficile poter fare in Italia. “La questione non è tanto come far tornare noi, ma come migliorare le condizioni in modo che i giovani del domani possano partire ma anche tornare. Il problema non è viaggiare o fare esperienze all’estero: le nuove generazioni saranno sempre più portate ad abbandonare il Paese ed è giusto così. Ma l’Italia non attira più i giovani e non fa niente per attirarli. Su questo vogliamo lavorare”.

Exbo è quella che tutti chiameremmo “rete di cervelli in fuga”, anche se è una definizione che loro rifiutano. “È un’etichetta fuorviante – spiega Prodi – perché contribuisce a creare una barriera di sospetto tra chi parte e chi resta, senza vie di mezzo, senza tentativi di comprensione. È questa mentalità caricaturale che vogliamo combattere. Lavoriamo all’estero, ma mettiamo a disposizione della nostra città energie ed idee per migliorare il nostro territorio”.

E come dimensione di riferimento hanno scelto la città. Exbo ha circa 100 aderenti e un sito internet. Funziona come un gruppo virtuale e richiede stimoli e scambi di idee tra i membri del network. Uno dei punti forza: avere degli “In-Bo”, ovvero una base locale con cui dare concreto risvolto ad ogni idea nata in rete o semplicemente oltre confine. Hanno cominciato con un instant-book nel 2008 dal titolo “Il book delle risorse perse” e da quel momento è stato un susseguirsi di progetti: alcuni hanno contribuito alla creazione dell’agenda digitale di Bologna; altri sono tra i sostenitori dell’iniziativa di ambasciatori bolognesi nel mondo; altri ancora collaborano attivamente con il Centro di ricerca San Domenico o stanno lavorando all’idea di portare il centro di lavoro creativo comunitario “The Hub” anche nel capoluogo emiliano.

Exbo potrebbe essere l’esempio per le reti di “social network” per espatriati. L’idea portata avanti è di creare altre reti di cosiddetti “ex”, ma sempre legate a una sola città: l’obiettivo non è allargarsi, ma seminare altri poli di attività che possano agire concretamente sul territorio e magari federarsi in un “Ex-It”. Una condizione fondamentale per far nascere un “ex”? L’apartiticità. “Noi non vogliamo dover rispondere a nessuna fazione politica per quello che facciamo – conclude Maria Chiara – Questo però non vuol dire essere apolitici: il lavoro quotidiano di cittadinanza attiva, anche se dall’estero, è quanto di più politico possa esistere”.

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