L’abbiamo attesa tutto il giorno e finalmente ieri, a tarda sera, l’Agenda Monti è arrivata: un pdf di 25 pagine, che sembra seguire tutte le regole (quasi) di sburocratizzazione della scrittura che si insegnano nei corsi di business writing: frasi brevi, parole semplici, organizzazione del testo per punti, e via dicendo. Un po’ come il programma «Un’altra Italia è già qui: basta farla entrare» di Matteo Renzi (26 pagine), anche se questo era più curato graficamente. Ma il problema non è né la scrittura né la grafica. Il problema sono i contenuti.

Agenda Monti

Dal testo di un docente universitario – un collega – mi aspettavo emergesse una differenza netta e ampia rispetto al testo prodotto da un uomo di partito. Monti è un professore, uno-che-sa, un tecnico che si è sempre presentato come diverso dai politici per questa ragione fondamentale: dove gli altri parlano, lui dovrebbe fare, dove gli altri pongono obiettivi, lui dovrebbe riuscire ogni volta a distinguere fra gli obiettivi realistici e non, proprio perché, a differenza dei politici, conosce a fondo (è un prof!) come ogni obiettivo si raggiunge e dovrebbe saper anche dire perché eventualmente non si può raggiungere. Su questa base mi aspettavo un’Agenda Monti che, pur brevemente e semplicemente, ci spiegasse i come e i perché, non si limitasse cioè a elencare – per l’ennesima volta come fanno i politici – gli obiettivi, le intenzioni, il cosa-sarebbe-bello-fare, cosa-si-dovrebbe-fare-per-il-bene-del-Paese. Da un prof insomma mi aspettavo una spiegazione chiara e sintetica dei mezzi, delle strade per, non l’ennesimo elenco di buone intenzioni. Non dico tutte le strade, ma almeno le principali. Non dico i dettagli, ma almeno le grandi linee.

Invece:

  1. L’Italia «deve essere protagonista attivo e autorevole di questa fase di rifondazione dell’Europa. Deve svolgere un ruolo trainante»: bello, talmente affascinante che persino Berlusconi potrebbe dirlo; e forse solo la Lega, oggi, direbbe una cosa diversa.
  2. L’Italia dovrà «attuare in modo rigoroso a partire dal 2012 il principio del pareggio di bilancio strutturale», «ridurre lo stock del debito pubblico a un ritmo sostenuto e sufficiente in relazione agli obiettivi concordati», «ridurre, a partire dal 2015, lo stock del debito pubblico in misura pari a un ventesimo ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del prodotto interno lordo». Già, ma come? Dammi un’idea di cosa faresti in concreto per raggiungere questi scopi, caro prof. O almeno fingi di darmela.
  3. «L’aggiustamento fiscale compiuto quest’anno a prezzo di tanti sacrifici degli italiani ha impresso una svolta». Bene, dei sacrifici sapevo, sulla svolta resto in attesa. E qui arriva il capolavoro: «Per la prossima legislatura occorre un impegno, non appena le condizioni generali lo consentiranno, a ridurre il prelievo fiscale complessivo, dando la precedenza alla riduzione del carico fiscale gravante su lavoro e impresa». Ovviamente in quel «non appena le condizioni generali lo consentiranno» si annida il segreto di ogni rinvio e scusa: «Avremmo voluto evitarvi nuovi sacrifici, cari italiani e care italiane, ma le condizioni generali non ce l’hanno consentito». E poi ancora una volta, caro professore, dimmi come: da dove prendi i soldi, fra qualche mese e tutto d’un botto, per «ridurre il carico fiscale su lavoro e impresa»? Persino Berlusconi, nel suo sproloquio ieri da Giletti, ha cercato disperatamente di elencare da dove prenderebbe i soldi per togliere l’IMU.
  4. «Bisogna realizzare […] un fisco più semplice, più equo e più orientato alla crescita»: come non essere d’accordo, lo dicono tutti, ma di nuovo: come?
  5. «Spending review non vuol dire “meno spesa”, ma “migliore spesa”»: questo è uno slogan fantastico. Certo Berlusconi si sta mangiando le mani per non averlo detto lui.
  6. «Una pubblica amministrazione più agile, più efficiente, più trasparente. Usare meglio i fondi strutturali europei». Se non sapessi che la frase sta nell’Agenda Monti, potrei pensare che è di Brunetta.

E ancora: «Continuare la strategia delle liberalizzazioni», «Rivitalizzare la vocazione industriale dell’Italia», «Prendere sul serio l’istruzione, la formazione professionale e la ricerca»: evviva, lo dicono tutti da anni, ma poi da anni non lo fanno, e non c’è niente, nell’Agenda Monti, che mi faccia credere che stavolta sarebbe diverso. Ce n’è persino per gli ambientalisti, ai quali si dice che bisogna «sfruttare il potenziale dell’economia verde» con «regole chiare e ragionevoli» rispetto alle quali «bisogna essere intransigenti verso chi le viola» (wow!); ce n’è per l’«Italia della bellezza, dell’arte e della cultura», per cui «musei, aree archeologiche, archivi, biblioteche devono essere accessibili ai cittadini e ai turisti in modo più agevole e la qualità dell’offerta deve migliorare». Ce n’è persino per le donne – povere donne – a cui si dice per l’ennesima volta che «L’Italia non potrà dispiegare il proprio potenziale di sviluppo economico se non riuscirà a valorizzare maggiormente le donne» e si tenta pure di dire qualcosa del come, parlando di «detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile», senza però dire, ancora una volta, da dove si prenderanno i soldi per questa detassazione, visto che lo stock del debito pubblico andrà ridotto «a un ritmo sostenuto» e, dal 2015, di «un ventesimo ogni anno».

Insomma, all’Agenda Monti si può fare un’obiezione simile a quella che ieri lui ha fatto a Berlusconi che promette l’abolizione dell’Imu: «è un appello altamente attrattivo sul piano popolare […], ma se si farà senza altre grandissime operazioni di politiche economiche […] chi governerà una anno dopo, non cinque anni dopo, dovrà rimettere l’Imu doppia». Sono proprio queste «grandissime operazioni di politiche economiche» che l’Agenda, pur elencando molte e condivisibili buone intenzioni, non spiega. E che invece mi aspettavo illustrasse, almeno a grandi linee. Altrimenti, cosa distingue l’Agenda Monti dalle tante promesse dei tanti politici?

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