Nelle ultime vicende che hanno riguardato l’ex procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, oggi capo dell’Unità di investigazione della Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala, Antonio Ingroia, ovvero quelle legate all’ormai prossima discesa nell’agone politico, a fare da protagonista è un dibattito tra chi appoggia la sua scelta e chi, invece, spera che ci ripensi, torni dal Guatemala e rientri a Palermo a fare la punta di diamante della procura. Un dibattito che, a parte le idiozie dei soliti pasdaran, è stato corretto e soprattutto utile.

Tra coloro che hanno chiesto ad Ingroia di rimanere a fare il magistrato ci sono amici non certo tacciabili di pregiudizialità, come Antonio Padellaro (“meglio magistrato che candidato”) e Peter Gomez, ma anche chi lo ha sempre stimato incondizionatamente, come Giovanna Maggiani Chelli e alcune facce storiche del movimento di Salvatore Borsellino, le Agende Rosse. Ignorare o deridere queste opinioni sarebbe un grave errore.

Nessuno di loro ha infatti accusato Ingroia di essere un furbastro, un saltoquaglista. Le motivazioni sono tutte condivisibili: accettando una candidatura politica, qualunque essa sia, Ingroia sarebbe subito accusato di aver fatto alcune delle inchieste di cui è stato titolare solo per acquisire la notorietà che gli consente ora di avere un certo seguito mediatico. Tradirebbe la terzietà (morale e giudiziaria) e darebbe adito ai vagheggiamenti di gente come Dell’Utri.

Io la penso diversamente. Credo che nella vita di un uomo ci siano varie fasi. E che una volta ritenuta esaurita una di esse, per tanti motivi, intrinsechi ed estrinsechi, si debba cambiare se si vuole rimanere vivi dentro. Certo, ci sono uomini, mi direte, che invece vivono tutta una vita in una fase, riconoscendosi pienamente in essa; non esiste, credo, una via migliore o più etica di un’altra. Antonio Ingroia dal 1987 ha addosso una toga che non si è mai tolto, nemmeno quando, prima ancora del suo maestro Paolo Borsellino, era diventato egli stesso obiettivo di cosa nostra, che per mandare un messaggio alla procura di Marsala, prima di alzare il tiro avrebbe voluto uccidere un allievo di Borsellino. Quella toga l’ha tenuta addosso, cucita sulla pelle, nel maggio del 1992 così come dopo il luglio dello stesso anno. Fino ad oggi. In mezzo ci sono stati successi giudiziari ma anche delusioni e amarezze, culminate nel mascalzone” che gli ha rivolto in diretta televisiva un tipo abbastanza discutibile come l’ex ministro Calogero Mannino, oggi indagato nell’ambito della trattativa Stato-mafia.

Ingroia in questi anni si è prestato a fare da parafulmine a tutta la Dda di Palermo, riuscendo ad essere unico obiettivo degli strali della politica e dei procedimenti disciplinari del Csm, garantendo così un ampio spazio di manovra ai suoi sostituti.

Poi però ti guardi indietro e dal 1987 sono passati 25 anni e se sulle spalle, insieme alla toga, di anni nei hai 53, pensi che forse è arrivato il momento di cambiare, che di vita ne hai una e che la vuoi vivere fino in fondo per non avere alcun rimpianto. Comprendi che hai dato tutto quello che potevi alla Giustizia, compresa la tua sicurezza e quella dei tuoi cari, che hanno vissuto un quarto di secolo tra sirene e armi spianate. E che ora tocca ad altri, che grazie al tuo impegno e alla tua autorevolezza hai contribuito a formare una classe di pm all’altezza di processare, finalmente, lo Stato.

Il 15 dicembre scorso, nell’ambito della commemorazione dell’omicidio di mio nonno, l’imprenditore Giuseppe Borsellino, don Luigi Ciotti ha detto una frase che mi ha fatto molto riflettere e che mi ha fatto pensare ad Ingroia: “Noi lottiamo ogni giorno e lo faremo per sempre. Ma se a Roma non cambieranno le leggi, se non ne faranno di nuove e di più efficaci, non riusciremo mai a debellare le mafie”.

Credo che questa sia la ragione principale che ha spinto Antonio Ingroia all’essere da un passo da una candidatura alle prossime elezioni politiche. Avrebbe potuto candidarsi (e probabilmente essere comodamente eletto) alle ultime regionali siciliane e alle amministrative di Palermo. Glielo avevano chiesto in tanti, ma lui, con gentilezza, aveva rifiutato. Ha scelto una strada difficilissima, in un movimento appena nato. Se coraggio o incoscienza deve deciderlo ognuno di noi, ma di certo io ci vedo tanta umanità e tanta voglia di sognare, ancora, a 53 anni.

Per queste ragioni io sto con Ingroia-uomo, dopo essere stato a fianco all’Ingroia-magistrato. Se diventerà Ingroia-politico, sarà solo una questione di “campo di battaglia”; Ingroia, infatti, c’è sempre, è il suo territorio che cambia. La mia stima in lui prescinde dal suo ruolo; forse è questo, in ultimo, che la stima vera dovrebbe essere.

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