L’incarico è di quelli prestigiosi e allo stesso tempo terribilmente complicati: rifondare in Italia una destra “normale” dopo vent’anni di un berlusconismo. E’ la “missione” che ieri il gotha del Partito Popolare Europeo ha assegnato a Mario Monti accogliendolo al vertice di Bruxelles al pari di un vero e proprio salvatore della patria. Dicono che Berlusconi non avesse contezza dell’arrivo di Monti al consesso europeo, mentre la cosa era nota sia alla Merkel che a Wilfried Martens, presidente del Ppe.

Di suo, il Cavaliere ha stupito mostrandosi filomontiano che più di così non si può: “Se si candida lui, mi ritiro io”. Esattamente quello che vuole l’Europa e il resto del mondo economico. Esattamente quello che non vuole il Pd. Che, ormai, vede in Monti federatore di un ampio riassetto dei moderati italiani in cerca d’autore, un avversario politico inatteso e difficile da combattere. Soprattutto, colui che potrebbe scippare, ancora una volta, palazzo Chigi a Pierluigi Bersani. Diceva ieri il segretario democratico davanti ad una stampa estera prodiga di domande, ma meno di consenso: “Stavolta Berlusconi perderà le elezioni e le perderà male e Monti sarà il primo con cui parlerò se dovesse toccare a me (il governo del Paese, ndr)”.

Una scena che potrebbe avvenire a parti invertite; l’ipotesi scuote, ormai da due giorni, le fondamenta del Nazareno.”Le primarie di Bruxelles hanno sancito la vittoria di Monti. Un’invasione di campo che non ha uguali nella libera storia della nostra Europa”, ha commentato, sdegnato, il leader socialista Riccardo Nencini. Di fatto, però, un’azione politica “intimidatoria” come quella che è andata in scena ieri a Bruxelles da parte dell’Europa della grande finanza non si era mai vista prima. Quello che vuole il Ppe da Monti è chiaro. La potenza tedesca di Angela Merkel (preoccupata dal programma del Pd alleato di Nichi Vendola) vuole continuare a trattare con lui sugli impegni italiani di sostenimento del debito interno.

Ma anche dal sistema finanziario europeo, dal Fondo monetario internazionale e dai cosiddetti poteri forti italiani, i pezzi grossi del patto di sindacato del Corriere della Sera (Marco Trochetti Provera, John Elkann, Diego Della Valle) vedono in Monti un punto di riferimento ineludibile perchè il “salotto buono milanese” non si fida più della politica e dei segretari dei partiti italiani. Della sinistra, poi, no in assoluto. E poi Monti è l’unico che può davvero spazzare via, da destra, quel che resta dell’avanspettacolo indecoroso fornito negli ultimi anni dal Pdl di Berlusconi e soci. Certo, niente potrà impedire al Cavaliere, anche in presenza di un’esplicita discesa in campo di Monti, di candidarsi con il suo consueto drappello di famigli, attraverso una lista federata che lo faccia comunque arrivare in Parlamento “dalla parte giusta”, ma la sua resterà una presenza marginale, quasi “di colore” rispetto al vero centrodestra incarnato dal partito dei “poteri forti” del Paese e dell’Europa a firma Monti.

A Bersani questo scenario fa gelare il sangue. Tanto che ieri, da politico navigato, ha mandato un saluto affettuoso all’amico Casini per la sua nuova formazione politica in procinto di venire alla luce, ormai, ad horas. Bersani sa, come tutto il suo partito, che in questa frammentazione così imponente dell’offerta politica che si riverserà nelle urne il prossimo 17 febbraio (sembra quella la data, alla fine), a rimetterci non potrà che essere proprio il Pd. Il Porcellum, d’altra parte, è una legge nata per fotografare un bipolarismo oggi d’antan, ma senza dubbio è una legge che determina grande instabilità quando sul campo non ci sono due poli ma almeno tre con un quarto incomodo che si chiama Grillo e che oggi è il secondo partito italiano.

Il Senato, insomma, rischia di risultare ingovernabile. Ed un Pd vincente si troverà senz’altro a dover venire a patti con il nuovo centro. Che con Monti – dicono i sondaggi – potrebbe volare oltre il 10%. Altro che vittoria alle porte, per il Pd. Che, a questo punto, ha anche un altro “nemico”, quegli ambienti finanziari nazionali e internazionali che vedono come la peste una vittoria del centrosinistra. Il programma del Pd alleato di Nichi Vendola è visto in questi termini: rottamazione di Monti e delle sue riforme a cominciare da quelle criticate esplicitamente da Bersani, cioè le pensioni e il lavoro, quindi patrimoniale sugli immobili.

L’unico soggetto in grado di fermare l’avanzata di questa sinistra è una “federazione” di destra.Tant’è che una parte del vecchio Pdl sta già alacremente lavorando per metterla in piedi. Ci sono Gianni Alemanno, Roberto Formigoni, Gaetano Quagliariello e Maurizio Sacconi che domenica fonderanno “Italia popolare” una “galassia” nel cui ventre molle viaggeranno, ciascuno con la propria identità Cl con Rete Italia, Quaglieriello con L’occidentale, Augello con i Capitani Coraggiosi, Lupi con Costruiamo il futuro, Urso con Fare Italia, Cicchitto con Riformismo e libertà, Formigoni con Europa e Cultura e Frattini con la Fondazione De Gasperi.

Nel Pd la preoccupazione è al massimo. Anche perchè gli ambienti democristiani del partito, capitanati dai Fioroni e dai rutelliani di imminente rientro sentirebbero anche loro un forte richiamo. Bersani ha rivolto messaggi espliciti a Monti: sei una risorsa, ma solo se non ti candidi. A destra hanno messo mano al pallottoliere a stabilito che, con l’appoggio di Casini, quella lista potrebbe arrivare addirittura al 30%, ma c’è una domanda che allontana, al momento, i festeggiamenti: proprio sicuri che Monti lo votino tutti nel centrodestra? Casini è convinto di no. Ed è in buona, se non ottima, compagnia.

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