Lavoro nero e caporalato sono fenomeni molto diffusi sul territorio nazionale, con particolari concentrazioni nel Mezzogiorno e in regioni del nord come Veneto, Alto Adige, Piemonte, Toscana e Lombardia. Secondo il primo Rapporto Flai-Cgil su agromafie e caporalato, queste zone ospitano una rete di sfruttamento della manodopera fortemente radicata e legata alla criminalità organizzata.

Nel Rapporto le situazioni territoriali sono classificate sulla base di tre valori. Sono ritenute buone le condizioni di alloggio decente, con orario e salario che rispettano il contratto nazionale e rapporti accettabili con il datore di lavoro. Sono classificate come indecenti/non dignitose le condizioni lavorative di chi vive in un alloggio precario, con orario e salario inferiore al contratto nazionale, rapporti inesistenti con il datore di lavoro, clima strumentale e di totale distacco. È infine classificato come gravemente sfruttato chi possiede solo un alloggio di fortuna, orario lungo, salario a cottimo, rapporti di lavoro mediati dal “caporale” a pagamento e clima di assoggettamento. Vive rapporti ingannevoli con il datore di lavoro, subisce false promesse e frode.

La ricerca condotta dall’Osservatorio ha coinvolto 14 Regioni e 65 province, e ha censito oltre 80 epicentri di rischio, di cui 36 sono risultati ad alto tasso di sfruttamento lavorativo.

PIEMONTE. In Piemonte sono state individuate condizioni di lavoro negative e molto negative nella provincia di Cuneo, Alessandria e Asti. La situazione peggiore è stata individuata nella provincia di Alessandria e in particolare nel distretto di Tortona, dove sono state rilevate forme di lavoro gravemente sfruttato e attività di sofisticazioni alimentari. Condizioni di lavoro indecente sono state registrate anche a Saluzzo (truffe/inganni per salari non pagati), nelle Langhe/Roero (caporali e contratti inevasi) e a Bra, nonché a Canelli e Nizza Monferrato.

Nella provincia di Asti sono state scoperte truffe e inganni per salari non pagati e contratti inevasi, come la presenza di caporali e intermediazione illecita diffusa. Sullo sfruttamento lavorativo è partita quest’estate, a Castelnuovo Scrivia, una vertenza contro le Ditte Lazzaro, che producono orticole per Grande Distribuzione.

Il 22 giugno 2012, 39 braccianti marocchini hanno scioperato contro le loro pesantissime condizioni lavorative. Grazie alla protesta e all’intervento dei carabinieri sono state scoperte le condizioni abitative di estremo disagio  cui erano costretti e la presenza di numerosi lavoratori in nero, di cui una parte senza permesso di soggiorno. L’attività dell’azienda è stata momentaneamente sospesa, ma alla sua ripresa per i lavoratori marocchini non c’è stato più posto.

LOMBARDIA. In Lombardia i lavoratori stranieri occupati nel settore agro-alimentare ammontano a circa 21.600 unità (su un totale di occupati di poco superiore alla 100.000 unità), e si tratta prevalentemente di romeni e indiani (circa 6000 per nazionalità), seguiti dai lavoratori marocchini e albanesi. La provincia che occupa il maggior numero di lavoratori stranieri nel settore agro-alimentare è Brescia, con circa 6.200 unità.

Le condizioni di lavoro peggiori si registrano nella zona della Franciacorta e nei dintorni di Milano, Mantova, Pavia, Sondrio e Lecco. Ci sono caporali e dunque pratiche di sfruttamento derivanti da truffe/inganni sull’ammontare dei salari o delle ore lavorative, nonché da minacce e violenze psico-fisiche. Nella zona di Franciacorta si rilevano addirittura forme di lavoro gravemente sfruttato, assimilabile al lavoro para-schiavistico.

EMILIA-ROMAGNA. In Emilia Romagna, le zone in cui sono stati riscontrati casi di lavoro non dignitoso o para-schiavistico coincidono alla provincia di Ravenna, Cesena e Ferrara. A queste zone si somma la provincia di Rimini, dove sono state rilevate forme di lavoro considerate indecenti. Nel territorio di Cesena i lavoratori extracomunitari vengono spesso  costretti a pagare la richiesta del nulla osta con cifre che possono arrivare a 7.000 euro, per avere un contratto di lavoro con una garanzia di 51 giorni, (anche se in realtà ne lavorano oltre 200), e vengono retribuiti con paghe da 3-5 euro l’ora.

La Flai Cgil ha denunciato alle autorità alcuni titolari di imprese agricole senza terra, prevalentemente romeni, che reclutavano personale nel loro Paese d’origine e lo portavano in Italia noleggiando auto, pullman e persino aerei, per sfruttarlo all’interno dei magazzini ortofrutticoli e di grosse imprese agricole.

TOSCANA. In Toscana le aree dove si rilevano forme di lavoro indecenti e gravemente sfruttate sono i distretti di Val di Cornia e di Grosseto, dove non mancano segnalazioni di lavoro para-schiavistico. Gli occupati stranieri nel settore agro-alimentare sono 19.482 unità, di cui circa 6.000 romeni e 3.500 albanesi. Lo sfruttamento è caratterizzato dalla presenza di caporali (in Maremma e nell’Amiata). In alcune aree risultano esserci indagini in corso della magistratura per il contrasto dello sfruttamento lavorativo.

CAMPANIA. In Campania i lavoratori occupati nel settore agro-alimentare di origine straniera ammontano a circa 15.500 unità, su un totale di 134.598 unità, con una marcata prevalenza dei lavoratori romeni (circa 6.550). Sono state rilevate forme di lavoro gravemente sfruttato nell’area agro-alimentare di Napoli, con truffe e inganni per salari non pagati e impiego di caporali. La stessa situazione è stata rilevata a Caserta, con l’aggiunta di gravi sofisticazioni alimentari.

A Salerno le forme principali di sfruttamento che sono state individuate riguardano l’intermediazione illecita e il caporalato, entrambi molto diffusi. A questo si aggiungono anche gravi sofisticazioni nella filiera bufalina.

PUGLIA. In Puglia, le province dove i lavoratori immigrati sono più numerosi sono quella di Foggia (con 20.143 addetti, seconda solo a Bolzano) e Bari (con 6.500 unità circa). Le condizioni occupazionali delle province ad alta produzione agro-alimentare (Foggia, Lecce e Taranto) sono state classificate come decisamente negative, caratterizzate da lavoro para-schiavistico e pertanto da lavoro gravemente sfruttato.

Nella regione viene impiegata manodopera irregolare e caporali in qualità di intermediatori di manodopera. Sono state riscontrate anche truffe e inganni per salari non pagati e per contratti di lavoro inevasi. In Puglia sono state realizzate diverse azioni di contrasto al grave sfruttamento lavorativo e alle pratiche illecite di aggiudicazione degli appalti (con più sottoforniture), che costituiscono molto probabilmente il contesto in cui maturano diverse forme di sfruttamento.

La manodopera stagionale impiegata nella regione arriva da Napoli/Caserta, da Cosenza/Catanzaro e Reggio Calabria, nonché da Catania, Ragusa e Siracusa, ma anche dall’estero, Romania e Polonia.

CALABRIA. In Calabria i lavoratori stranieri occupati nel settore agro-alimentare sono circa 21.500. I romeni e i bulgari sono i più numerosi, con 11.000 e 5.000 unità. Le province che li impiegano maggiormente sono Cosenza e Reggio Calabria, rispettivamente con 10.145 e 6.200 addetti. Entrambe le aree si posizionano in modo significativo anche a livello nazionale, in quanto rappresentano, l’ottava e la quindicesima provincia per numero di addetti immigrati.

Secondo il Rapporto, in Calabria le condizioni di lavoro agricolo sono complessivamente negative. Nel caso di Gioia Tauro/Rosarno poi, oltre ad essere indecenti, riproducono forme di lavoro paraschiavistico e servile. Fanno eccezione, in provincia di Reggio, i distretti di Militello e di Monasterace, in cui le condizioni di lavoro sono invece valutate sostanzialmente buone.

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