Napolitano ha sbagliato. È umano. Anche i Presidenti possono sbagliare. Ne abbiamo begli esempi: Giovanni Leone fu costretto a dimettersi e fu il Pci a chiedere formalmente, per primo, le sue dimissioni, che Leone stesso annunciò agli italiani il 15 giugno 1978; Francesco Cossiga fu messo sotto “impeachment” da parte ancora del Pci-Pds, (1991). Adesso la Corte Costituzionale ha dato ragione al Presidente.

Personalmente, letta la sentenza, se prima ero convinto dell’errore di Napolitano oggi ne ho maggiore conferma e pazienza se dovrò beccarmi l’accusa del grande vecchio Eugenio Scalfari. Ecco, mi mancava Scalfari che mi dà dell’eversore e del quasi “fascista di sinistra”. Oppure, in alternativa, mi dà dell’idiota che non s’accorge di essere strumentalizzato da gente di destra che fa finta di essere di sinistra e che, come diceva già Ezio Mauro, è stato catapultato fintamente a sinistra in nome di un antiberlusconismo da operetta (tipo “il Fatto”, mica quello serio di “La Repubblica”). Dice Scalfari: “E questo è tutto (beato lui… ndr). Resta l’ indebito clamore che alcune forze politiche e alcuni giornali hanno montato attorno a questi fatti lanciando accuse roventi, ripetute e immotivate contro il Capo dello Stato.(…) Quello compiuto da alcune forze politiche e mediatiche non è dunque un errore commesso in buona fede ma una consapevole quanto irresponsabile posizione faziosa ed eversiva che mira a disgregare lo Stato e le sue istituzioni. Sembra quasi un fascismo di sinistra.”

Questa la pacata analisi dell’uomo. Spiace che un esimio maestro del giornalismo italiano si trinceri dietro un velo (un telo) di ipocrisia o, peggio, abbia perduto il lume lanciando anatemi estremistici e pacchiani per sostenere l’attività, politicamente criticabile, di un uomo politico. Le sentenze non si discutono? E io non le discuto. Mi tengo la mia opinione. Aggravata però da una conseguenza obbligata. Un pensiero mi assilla: il Presidente era già stato intercettato casualmente tre anni fa mentre parlava con Guido Bertolaso (messo, quest’ultimo, sotto intercettazione perché indagato) ed egli non fece una piega pur vedendo la conversazione addirittura pubblicata sui giornali.

La domanda viene spontanea: perché mai ora è scattato per impedire la pubblicazione dei colloqui con Nicola Mancino, asserendo ragioni di principio? (domanda maliziosa ma ve la fate anche voi, vero?). Quale può essere la differenza rispetto a tre anni fa? Così come la chiusura dei processi per prescrizione non decretano l’innocenza dell’imputato lasciando aperta la possibilità di pensare che sia colpevole (uno a caso: Berlusconi), così, la ostinata volontà di distruggere quelle conversazioni mi lasciano aperta la possibilità di pensare al contenuto di tali conversazioni (le quali sono senza effetti penali). Vediamo, mi viene in mente: “caro Mancino, mi meraviglio che ti rivolga a me, sarebbe un intervento indebito e censurabile! La legge è uguale per tutti, rivolgiti al tuo avvocato!”, oppure: “Caro Mancino, non dar retta a D’ambrosio, lui dice così per consolarti ma io non posso assolutamente prendermi a cuore la tua faccenda personale, che la legge faccia il suo corso!”.

Due telefonate furono sotto le feste: “caro Mancino hai fatto bene a chiamarmi, stavo per farlo io per fare a te e famiglia i migliori auguri di Buon Natale e felice anno nuovo!” e l’altra: “carissimo, per le feste ti invito a venire con me alla pesca del pesce gatto nel fiume Lamone, vicino a Bagnacavallo, mi dicono che lì ce n’è un casino!”. Sono sicuro che così andò, in quelle quattro telefonate. E… honi soit qui mal y pense.

La Repubblica tradita

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