Oggi a Scampia c’è stato un omicidio nel cortile di una scuola materna. Solo per una circostanza fortunata i bambini non sono rimasti coinvolti e non hanno assistito ai fatti. Il giornalista e scrittore napoletano Antonio Menna, che da cronista di nera de ‘Il Mattino’ da Pozzuoli è poi diventato famoso per il libro cult ‘Se Steve Jobs fosse nato a Napoli’, aveva appena undici anni quando vide un omicidio. “Nel cortile accanto casa mia, a Marano (Napoli). Due killer su una moto ammazzarono un uomo davanti a una macelleria. Ho sempre pensato che è stato quel giorno che ho scelto di fare il giornalista e di schierarmi contro la camorra. Per questo dico che l’orrendo delitto di oggi, nel cortile della scuola materna di Scampia, forse potrebbe essere addirittura utile”.

Che ricordo ha di quel giorno?
“Ricordo tutto. Vivevo in un quartiere residenziale, di fronte a una parrocchia. Noi ragazzini camminavamo senza problemi tra il cortile e la chiesa. Fino a quei colpi di pistola. Non erano i soliti fuochi. Erano botte secche, senza eco, che al cinema non le sanno fare così. Mi ricordo anche il tonfo del corpo morto sull’asfalto. E poi un minuto di silenzio assoluto, come se il mondo si fosse ghiacciato. Sembrò una vita. Mi affacciai e vidi la moto infilarsi in un vicolo, l’uomo seduto dietro era rannicchiato, forse voleva sparire. Poi le urla, le sirene, il filo di sangue che scese per cinquanta metri e finì in un tombino, e una signora che urlò “‘e criature, purtateve ‘e criature”.

A Scampia hanno fatto uscire i bambini da una porta secondaria della scuola per non far vedere loro il cadavere.
“Ricordo che la signora, pensando di proteggermi, mi riportò subito a casa. Io, invece, volevo guardare. Volevo capire. Chiesi a casa, ma i miei genitori non volevano parlarne. Allora vidi il tg che parlava del delitto. Così il giorno dopo sfilai la copia del Mattino a mio padre – lo comprava tutti i giorni – e lessi il pezzo. E finalmente compresi bene cosa era successo. Ho sempre pensato che è stato allora che ho scelto da che parte stare”.

Cosa ha imparato da quell’esperienza?
“Mi ha spinto a capire, a cercare notizie, a interessarmi del perché certi fatti così brutti potessero accadere davanti ai nostri occhi e di cosa potevo fare per raccontarli e denunciarli. A diciotto anni bussai alle porte della redazione de ‘Il Mattino’ e iniziai a collaborare. Ho scritto di faide di camorra e mi è persino capitato di tornare nei pressi del luogo dove da bambino vidi l’omicidio per scrivere di un altro assassinio. Mi rendo conto che non è detto che sia così per tutti, ma per me fu uno shock utile. Un bambino che vede morire un uomo in questo modo davanti ai propri occhi, difficilmente potrà trattare la morte in modo superficiale”.

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