“Prevenire la violenza sulle donne, fare fronte comune in Europa e nel mondo contro il femminicidio (fenomeno riconosciuto da tutte le istituzioni internazionali) e combattere le concezioni culturali alle quali il fenomeno è collegato”. E’ il senso della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Onu per il 25 novembre (qui il programma italiano), nelle parole di Barbara Spinelli, avvocato, parte attiva nella piattaforma Cedaw (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne) e del relativo Rapporto ombra e autrice di “Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale” edito da Franco Angeli.

Perché una giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne?
Il 25 novembre è un giorno in cui tutti, associazioni e istituzioni, dovrebbero concentrarsi sul “che fare” per prevenire e contrastare in maniera adeguata la violenza sulle donne. Sono tanti i politici e i personaggi famosi che ultimamente fanno “coming out”, ma troppo poche le persone che si adoperano concretamente per abbattere quei pregiudizi che rendono ancora così diffusa la violenza maschile sulle donne – dalle molestie sessuali ai numerosi tentativi di femminicidio che avvengono nel corso o alla fine delle relazioni di intimità – nel nostro Paese. Il 25 novembre è un giorno che ricorda la forza delle donne nella lotta contro ogni forma di oppressione. La data infatti è stata scelta dalle femministe latinoamericane per commemorare l’assassinio delle sorelle Mirabal, e solo successivamente è stata dichiarata dalle Nazioni Unite “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”.

Sono in aumento i casi di femminicidio in Italia?
Nonostante in Italia si registri negli ultimi decenni un calo complessivo degli omicidi (di uomini e donne), i femminicidi sono in aumento. Dal 2005 ad oggi ci sono stati 30 casi in più. Stiamo parlando di omicidi di prostitute, vittime di tratta, mogli, conviventi e fidanzate. Ma non è questo il punto. Il problema è il sommerso dei tentati femminicidi e dei suicidi per motivi legati al genere. Non disponiamo di dati ufficiali purtroppo, perché non vengono raccolti disaggregati per genere. Sarebbe invece importante tenere monitorato questo tipo di criminalità perché sappiamo che, nella maggior parte dei casi, le forme estreme di violenza/autolesionismo non sono atti isolati, ma rappresentano solo il gesto finale di una o più violenze (psicologiche, economiche o fisiche) pregresse nella relazione di intimità. Episodi per cui, in 7 casi su 10, la donna aveva chiesto aiuto, chiamando i numeri di emergenza delle forze dell’ordine, denunciando oppure rivolgendosi ai servizi sociali. Allora il vero dato che dovrebbe diffuso è questo: i femminicidi aumentano perché quando le donne chiedono aiuto non vengono protette in maniera adeguata. Si tratta di un vero proprio “fallimento delle autorità dello Stato” nella protezione delle donne che hanno subito violenza da parte di partner o ex, come lo ha definito il Comitato Cedaw.

Come possiamo considerare la situazione italiana in rapporto a quella degli altri Paesi europei?
Non deteniamo la maglia nera per numero di femminicidi a livello europeo, ma siamo accomunati a tutti gli Stati del mondo per il fatto che il femminicidio non arriva mai all’improvviso. Molto raramente è frutto di un “raptus”, come piace tanto definirlo alla stampa, veicolando stereotipi. Troppo spesso è collegato a una determinata concezione culturale del ruolo della donna nella relazione e nella società, che trasforma la coppia in un inferno in cui la donna viene punita psicologicamente, controllata economicamente, isolata nelle sue relazioni, picchiata.

Che cosa ci differenzia allora dal resto del mondo?
La differenza è che a livello comunitario e internazionale non ci si imbatte in soggetti istituzionali che negano legittimità ai concetti di violenza basata sul genere e di femminicidio. Che il femminicidio sia un problema mondiale ormai è riconosciuto dall’Unione Europea, dal Consiglio d’Europa e dalle Nazioni Unite. A giugno 2012 è stato presentato a Ginevra, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il primo rapporto mondiale sugli omicidi basati sul genere (femmicidi e femminicidi). Ora si sta lavorando a una risoluzione da presentare all’Assemblea generale e alla richiesta di formare un gruppo di lavoro internazionale per l’elaborazione di linee-guida per aiutare gli Stati ad adottare misure adeguate agli standard internazionali.

Perché è importante usare la parola femminicidio?
Oggi più che mai, davanti ai tanti intellettuali che si ostinano a negare che esiste un’asimmetria di genere nella violenza agita dagli uomini sulle donne – in particolare nell’ambito delle relazioni di intimità e familiari – occorre utilizzare questo termine che, nella sua bruttezza e nella sua ferocia, ma anche nella sua storia, rimanda alla storica disparità di potere (o discriminazione di genere) che sta alla base della violenza rivolta nei confronti della donna “in quanto donna”.

In Italia che cosa si può fare a livello normativo e culturale per fermare i crimini contro le donne?
L’Onu (il Comitato Cedaw nel 2011 e la relatrice speciale Onu contro la violenza sulle donne nel 2012) hanno fornito delle indicazioni ben precise su cosa è necessario fare nel nostro Paese. La Convenzione “No more!” contro la violenza maschile sulle donne ha rilanciato la necessità che le istituzioni si impegnino ad attuare le raccomandazioni Onu. Le parole d’ordine sono: raccolta dei dati, lotta agli stereotipi, formazione professionale, finanziamenti stabili e sicuri per evitare la chiusura dei centri antiviolenza e aumento del numero di case rifugio, monitoraggio dell’efficacia delle politiche esistenti.

Ad oggi hanno aderito numerosissimi uomini e donne, associazioni e singole. Ora non resta che attivarci per far sì che il tema del femminicidio non venga strumentalizzato per costruire consenso elettorale, ma che i politici si impegnino a porre in essere quelle azioni urgenti e necessarie per garantire l’effettiva protezione delle donne che vogliono uscire da situazioni di violenza. La lotta ai pregiudizi e agli stereotipi di genere è urgente e fondamentale. E’ impensabile che nel 2012 parlamentari italiani possano considerare incostituzionale parlare di violenza maschile sulle donne. Eppure, nel corso del dibattito per la ratifica della Convenzione di Istanbul, sono emerse anche posizioni di questo tipo.

Quali sono le principali iniziative da segnalare in occasione del 25 novembre?
Ci sono moltissime donne che stanno organizzando eventi e dibattiti in tutte le città d’Italia e del mondo. Io personalmente non mancherò di andare a vedere lo spettacolo di Serena Dandini “Ferite a morte” che darà voci (famose) a vittime reali e immaginarie di femminicidio. Per una volta niente sciacallaggio mediatico su queste donne uccise perché libere, ma la restituzione a loro della possibilità di rileggere la loro storia, col senno di poi. Sono molto curiosa del risultato. Sul blog è disponibile il calendario degli eventi organizzati da tutte le associazioni e i gruppi che hanno aderito alla Convenzione “No More”. Ci sono date in tutta Italia. Io sarò il 23 ad Ancona e Palermo, il 25 a Bologna, il 28 a Milano, il 30 a Roma, il 1 e il 3 a Rovigo e poi ancora l’8 dicembre a Orvieto, il 10 a Roma, il 14 a Potenza, il 19 a Firenze. Oppure la mattina del 25 tra le 10 e le 11 allo speciale televisivo di Rai News. Insomma, per chi volesse informarsi le occasioni non mancano.

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