E’ la Francia stavolta la vittima sacrificale dell’Economist, il settimanale britannico riferimento a livello mondiale soprattutto nei mercati. E come al solito, senza usare mezzi termini. Nell’edizione che uscirà domani, in copertina, campeggia il seguente titolo: «La bomba a orologeria nel cuore dell’Europa ». E sotto, appunto, uno strano ordigno costituito da alcune baguette. Insomma, dopo Roma e Madrid, Parigi potrebbe diventare l’anello debole di una crisi dell’euro. Tutt’altro che risolta.

   Il dossier interno dedicato alla Francia (14 pagine) porta un titolo significativo: «So much to do, so little time», «Così tanto da fare, così poco tempo». I mali del Paese radiografati dai giornalisti inglesi sono quelli di cui si parla costantemente: una recessione alle porte, il tasso di disoccupazione ormai sopra la soglia del 10% e «la competitività di un Paese che si è fortemente deteriorata rispetto alla Germania». «Il debito pubblico – si legge nell’Economist – ha superato il 90% del Prodotto interno lordo, ma soprattutto la spesa pubblica rappresenta il 57% del Pil, di gran lunga la percentuale più alta di tutta l’area euro, dieci punti sopra i tedeschi».

   E ancora: nel dossier si ricorda il problema di un deficit della bilancia commerciale «abissale» e «un clima per il business che è peggiorato, in particolare con gli aumenti delle tasse decisi dal presidente François Hollande». E qui arriviamo al problema maggiore per la Francia, almeno secondo The Economist: la sua classe dirigente. E’ vero, il settimanale prende in considerazione il fatto che nei giorni scorsi a Parigi sia stato presentato un rapporto (commissionato dal Governo e redatto da un team di esperti, coordinato da Louis Gallois) che propone alcune misure per rendere più competitiva l’economia francese. E riconosce che il Governo del socialista Jean-Marc Ayrault abbia già adottato alcuni di quei provvedimenti, riducendo i contributi sociali a carico delle imprese. «Ma si può temere – si legge in uno degli articoli – che questi recenti cambiamenti di orientamento siano troppo tardivi e insufficienti».

   Per l’Economist, «né Ayrault, né Hollande sembrano essere dirigenti abbastanza coraggiosi, capaci di imporre riforme nei confronti di un’opposizione generalizzata». Ad esempio, quella di una popolazione che non vuole i tagli alla spesa pubblica visti nell’Europa del Sud. La risposta, ovviamente, non si è fatta attendere. Già ieri sera, dopo che le prime indiscrezioni affioravano, il premier Ayrault ha commentato: «E’ pur sempre un giornale. E l’oltraggio fabbricato ad hoc per vendere carta non impressiona la Francia». A Parigi si intravede nel dossier dell’Economist il consapevole attacco di un settimanale di dichiarate idee liberiste a un governo di sinistra (e dirigista) come quello francese. Si fa anche notare che i dati appena pubblicati sull’andamento dell’economia francese, indicano per il terzo trimestre dell’anno un +0,2% per il Pil (in recupero dal -0,1% del secondo): un risultato non entusiasmante, ma positivo al confronto con il calo dello 0,1% dell’area euro nel suo complesso. Intanto ieri lo Stato francese ha collocato bond a due e cinque anni rispettivamente allo 0,1 e allo 0,76% di rendimento. Che sono tassi bassissimi, praticamente i migliori in Europa dopo la Germania.

   Non importa, quelli dell’Economist insistono. John Peet, editorialista del giornale, intervistato dal settimanale francese le Nouvel Observateur, ha ricordato che «le difficoltà della Francia sono quelle che si ritrovano in tutta Europa, ma i Paesi mediterranei come l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia riconoscono i loro problemi e stanno realizzando riforme profonde, che comprendono forti tagli alla spesa pubblica e la riforma del mercato del lavoro. La Francia, invece, non realizza queste riforme strutturali. Ed è preoccupante, perché rappresenta un Paese chiave per l’eurozona». Peet ha anche detto ai francesi di non scaldarsi troppo: «Nel passato con l’Italia siamo stati molto più aggressivi».

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