A Bologna esiste una realtà di grande aiuto per le persone con disabilità: il “VIS”. L’acronimo sta per “Vita Indipendente e Solidale”. Si tratta di una struttura che comprende una ventina di monolocali al piano terra, tutti accessibili a persone con disabilità motoria: sono spaziosi, con bagno ampio, parcheggio.

Come funziona la comunità? Il progetto iniziale (elaborato da AICE, AISM, ANFFAS, ANPVI, CEPS e Società Dolce), prevedeva di creare una comunità integrata tra persone con disabilità e studenti universitari disposti a offrire il proprio supporto, in una logica di aiuto reciproco. Ogni aderente sottoscrive un “patto”, indicando di cosa ha bisogno e in che cosa potrebbe aiutare gli altri.

Col tempo, in realtà, i rapporti di solidarietà si sono creati per vie più informali; anche la composizione della comunità è cambiata, e molti alloggi sono stati assegnati a famiglie con problemi economici, senza disabilità.

Ho pensato di fare alcune domande a una ragazza che vive questa esperienza.

Perché hai scelto di vivere al VIS?
Per me è stata una grande opportunità – forse l’unica – per uscire dalla famiglia. Uno studente normodotato può affittarsi un posto letto per 2 o 300 euro, ma un disabile no: una casa “normale” davvero accessibile è quasi introvabile. Basta un bagno troppo stretto perché renda impossibile una vita “da soli” anche ai disabili con buone autonomie. 

Naturalmente a 20 anni nessun può investire nell’acquisto e nell’adattamento di una casa…figuriamoci se si è studenti fuori sede. Da non residente non puoi nemmeno accedere ai servizi sociali. Il VIS copre questo “buco” nei servizi, offrendo un monolocale accessibile al costo di una singola…

In pratica vivi in un condominio pieno di altri disabili. Non è un ghetto?
Io non credo. A parte che, come dicevo, ci sono ormai molti inquilini senza disabilità, qui ho comunque la mia casa privata: se volessi, potrei fare come quando vivevo in un condominio qualsiasi, dove non conoscevo per niente i miei vicini… e a quel punto è irrilevante che siano disabili o normodotati.

Ma ho preferito creare relazioni e vivere i lati positivi dei rapporti di vicinato: qui ho qualcuno che può aiutarmi per piccole incombenze o soccorrermi in caso d’imprevisti; così non ho bisogno di pagarmi un assistente.

Paradossalmente, anche la presenza di altri disabili può essere utile: c’è una ragazza molto brava con la manutenzione delle carrozzine, e a me è capitato di dare consigli su servizi per disabili… Può nascere una specie di “consulenza alla pari”!

Pensi che ci siano aspetti da migliorare?
Credo che un edificio con così tanti appartamenti senza barriere vada sfruttato al massimo: potrebbe ospitare veri progetti di Vita Indipendente, in cui alcuni inquilini, opportunamente formati e selezionati, prestano una qualche forma di assistenza agli altri. L’idea non sarebbe nuova: per gli anziani si stanno ormai diffondendo le cosiddette “badanti di condominio”, che permettono un deciso abbattimento dei costi. 

La struttura del VIS, con appartamenti vicini ma del tutto indipendenti, si presta bene allo scopo: un disabile può vivere da solo come chiunque altro e mantenere la propria privacy… avendo però, di là dal muro, qualcuno da chiamare al bisogno.

Un grande esempio di funzionalità e utilità.

Articolo Precedente

Primarie, sui diritti civili la sinistra deve ancora trovare la sua identità

next
Articolo Successivo

SLA, morire per un diritto annulla l’esistenza del diritto

next