E’ complicato anche morire a Napoli. Ci sono concittadini che sapendo le difficoltà immani per trovare un loculo, un fosso, una nicchia, una tomba si sforzano a vivere molto di più perché impossibilitati a trapassare. A parte la battuta che poi non è tanto una battuta, merita di essere letto tutto di un fiato il libro “Che s’adda fa’ pe’ murì! – affari e speculazioni sui morti a Napoli –” edito da Vertigo e scritto dal mio amico Alessandro Migliaccio, bravo cronista e uno degli autori più prolifici della trasmissione cult “Le Iene”.

Novemila morti all’anno garantiscono a Napoli e provincia un giro d’affari illecito tanto enorme quanto raccapricciante. Ci sono cartelli organizzati di ditte funebri che si spartiscono il mercato. Un business di milioni di euro dove tutto è consentito. Cadaveri che spariscono nel nulla, tombe profanate e rivendute all’insaputa del seppellito e dei parenti. Ossa che vengono spostate da una nicchia all’altra. Morti che restano per giorni interi “all’inpiedi”. Singoli loculi che si trasformano in tombe familiari. Scene da film dell’orrore. L’inchiesta condotta da Migliaccio fa luce sul malaffare e la speculazione che circonda il mercato dei funerali e dei loculi, mostrando paradossi a volte grotteschi, come quello del “loculo con vista sui parenti” venduto tramite un sito di e-commerce su Internet, altre volte tragici e strazianti, come quello della giovane deceduta cui non si riesce a trovare nemmeno un posto in obitorio. C’è anche da aggiungere e non poteva essere diversamente la complicità della cattiva gestione dei servizi cimiteriali comunali.

Uffici sguarniti dove la documentazione viene compilata rigorosamente a mano, non esistono archivi informatici, non esiste modulistica, non ci sono bandi di assegnazione delle tombe, non ci sono nuove aree cimiteriali, non ci sono nuovi progetti di ampliamento anzi i pochi cantieri aperti sono “inspiegabilmente” fermi. Nel mondo dei vivi non c’è nulla. Un abbandono amministrativo che fa sorgere qualche sospetto. Laddove il pubblico non è efficiente ecco che si crea – casualmente e inevitabilmente – lo spazio per far inserire faccendieri, mediatori, portagente insomma fiancheggiatori di imprese legate a doppia mandata con la camorra. Ad esempio chi muore a Casoria, comune alle porte di Napoli, il funerale lo devono organizzare obbligatoriamente le pompe funebri di Casoria. Nessuno “di fuori” può invadere il territorio, potrebbero accadere cose sconvenienti. Questi parassiti, questi sciacalli, queste merde approfittando della scomparsa di una persona cara, del dolore, della mancanza di lucidità dei congiunti guadagnano sulle disgrazie altrui un bel po’ di soldi.

E come fanno a guadagnarci? Illegalmente come è ovvio, vale a dire attraverso il controllo del territorio reso possibile dalla presenza dei diversi clan-famiglie distribuite nei vari quartieri che gestiscono la tratta dei cadaveri. Se si muore in un ospedale piuttosto che in un altro, se si muore in una strada piuttosto che in un’altra: è da questo che può dipendere da quale ditta sarà curato il funerale e la spesa che i parenti dovranno sostenere. Non solo, se poi la famiglia del povero defunto non possiede una cappella privata in cui deporne le spoglie mortali, finirà di certo per cacciarsi in un esasperante labirinto burocratico da cui uscire è possibile in un solo modo: pagare profumatamente qualcuno per trovare una nicchia. Compaiono strani figuri che si aggirano nei camposanti come spettri, solo che questi sono reali, tanto reali da chiedere denaro, un bel po’ di denaro. Si tratta di custodi, amministrativi, addetti alle pulizie: è a loro e alla loro mediazione che ci si affida per essere certi di trovare l’ambito loculo a volte ai danni di altri ignari defunti. Proprio all’autore del libro lo scorso 2 novembre è inciampato in un clamoroso furto di una nicchia ripreso in diretta. Assurdo? Guardare per credere.

Discorso non molto diverso tocca ai privati e alle congreghe appartenenti alla curia, davvero da far accapponare la pelle. “Che s’adda fa’ pe’ murì!” è un titolo azzeccato perché Alessandro Migliaccio ricostruisce un mosaico horror che bravi magistrati e investigatori dovrebbero colpire con durezza. E’ un sistema nel sistema che oltre a rubare ai vivi ruba perfino ai morti. Lo schifo è solo all’inizio. Quante volte a Napoli capita di ascoltare e leggere sui bollettini medici: “E’ morto durante il trasporto in ambulanza a casa” . Insomma sembra quasi che sia il trasporto in ambulanza a dare il colpo di grazia ai pazienti, tante sono le persone che ci muoiono dentro. In realtà, spesso, nelle ambulanze partenopee non si trasportano persone vive bensì, in maniera del tutto illegale, (il reato è sottrazione di cadavere) persone già defunte in ospedale che, per volontà dei familiari e con la complicità dei medici e infermieri, vengono portate in fretta e furia nelle loro abitazioni per ricevere lì l’ultimo saluto. I camici bianchi per chiudere un occhio e anche l’altro sono stipendiati dalle ditte funebri per non parlare degli infermieri che ottengono abbondanti regalie trasformandosi in vedette da obitorio. Uno spaccato raccapricciante che neppure può indurre alla scelta estrema di farsi cremare, si pare un altro mercato perché a Napoli e nell’hinterland non ci sono impianti di cremazione…Appunto Che s’adda fa’ pe’ murì!…      

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