Contro la politica dei due forni di Casini. Contro la riforma della legge elettorale con premio di maggioranza che scatta al 42,5%. Contro l’ipotesi di un Monti-bis. Quando mancano due settimane alle primarie del centrosinistra, il segretario democratico Pier Luigi Bersani ha scelto la linea dura per esprimere la linea del partito nei confronti dei movimenti e delle mosse ambigue degli altri componenti della strana maggioranza. Attacchi che hanno provocato la velenosa reazione del leader Udc. Che ha risposto gettando benzina sul fuoco di un dialogo ormai compromesso.

Durante un incontro organizzato da Left, infatti, a chi gli chiedeva se fosse rimasto deluso dallo sgambetto dell’Udc sulla riforma elettorale (i centristi hanno votato l’emendamento incriminato con Api, Lega e Pdl) Bersani ha risposto senza mezzi termini: ”Casini morirà di tattica. Io spero che metta la barra dritta a un certo punto e decida dove andare”. Poi la lettura politica: “Al di là delle battute – ha aggiunto – in Europa ci sono fenomeni regressivi e populisti e poi fronti liberali che discutono con forze progressiste. Quando Monti e Hollande sono d’accordo, è un socialista che discute con un liberale con qualche venatura conservatrice”.

Ancor più netto, invece, il parere del segretario sull’ipotesi di una riproposizione dell’esperienza del governo tecnico. “Chi pensa che con questa riforma elettorale si arrivi al Monti-bis è da ricovero” ha detto Bersani, secondo cui, se questa ipotesi divenisse realtà, “ci sarebbe la palude e l’ingovernabilità. Lo tsunami, non per il Pd, ma per l’Italia”. Sullo stesso tono le riflessioni su possibili accordi di governo in caso di approvazione di legge elettorale così come voluta da Pdl, Udc e Lega. Più che un parere, quella di Bersani è una stroncatura: “Non penseranno mica che mi metto a fare un governo con Berlusconi e Fini? Al di là di quanto sia alta la soglia – ha spiegato il segretario democratico – il punto è se si vuole consentire a chi arriva primo di avere un ragionevole premio che non può essere sotto il 10%”. Una soglia, ha spiegato Bersani “che certo non garantisce la maggioranza assoluta ma indica l’azionista di riferimento in grado di dire chi governa”. 

Il leader del Pd, poi, è tornato sull’apertura fatta ieri sull’eventuale presenza di Elsa Fornero in un governo a trazione democratica e sulla polemica nata a tal proposito con Nichi Vendola. “Ieri polemizzavo con Gasparri sul fatto che anche un tecnico è un cittadino e può fare il ministro. Ma non ho prenotato nessuno, Vendola ci ha ricamato su”, ha spiegato Bersani, che poi è tornato ad annunciare le barricate del Pd all’ipotesi di legge elettorale partorita dall’asse Pdl-Udc. ”Se non si garantisce la governabilità, noi ci metteremo di traverso – ha detto l’ex ministro – dietro questa riforma c’è una logica furba del ‘muoia Sansone con tutti i filistei’, ma io sono fiducioso che si possa migliorare”.

La bocciatura senza se e senza ma del Monti-bis, tuttavia, per il segretario non significa l’uscita definitiva dell’attuale premier dalla scena politica. Anzi. “Nel futuro Monti deve continuare a dare una mano, si discuterà con lui come – ha spiegato Bersani – certo, al prossimo giro ci vuole una maggioranza politica, poi il tasso di tecnicismo è sempre possibile. Non voglio il ritorno della politica politicante e ricordo che noi siamo quelli di Ciampi, di Padoa Schioppa“.

Diametralmente opposto il punto di vista del presidente Udc Pierferdinando Casini, che ha messo in dubbio le reali intenzioni dei democratici e del Movimento 5 Stelle sul tema della riforma. “Bisogna mettere le carte in tavola con serietà sulla legge elettorale – ha detto il leader centrista – Questa mattina ho letto che Grillo e Bersani contestano questa riforma. Lo dicano chiaramente: se vogliono tenere il Porcellum non devono avere paura di dirlo. Lo dicano in Parlamento e mi spieghino che è giusto che chi ha il 30% prenda il 55% dei seggi. Io ritengo che mettere una soglia – ha aggiunto Casini – come peraltro ha richiesto la Corte Costituzionale, sia il minimo che si possa fare, perché un conto è premio del 7/8% un conto è il 25%”. Per avvalorare la sua tesi, inoltre, il numero uno dell’Unione di centro ha fatto un paragone con il passato. “Quando Berlusconi e Prodi hanno vinto ed hanno raggiunto quasi il 50%, hanno preso il 6/7% di premio. Oggi questo non è più possibile per nessuno. Bisogna avere serietà, le sceneggiate lasciano il tempo che trovano e dimostrano solo che c’è un tasso di strumentalità preoccupante: il Pd è una forza seria, si comporti da forza seria” ha detto Casini, che poi ha risposto direttamente alle critiche di Bersani. “Il Pd si deve abituare a parlare e a trattare con rispetto gli amici che stanno in Parlamento – ha detto il leader dell’Ud c- Noi non siamo stati sudditi di Berlusconi e, francamente, non vogliamo essere sudditi di Bersani. Non siamo disposti a piegare la schiena”.

Casini, poi, ha replicato a muso duro anche a quel “chi pensa al Monti-bis è da ricovero” pronunciato da Bersani. “Io sono da ricovero perché penso a un Monti-bis e come me ci sono molti del Pd…” ha detto il leader dell’Udc, secondo cui dopo “anni di teatrino dove la destra e la sinistra si contendevano il monopolio delle promesse, poi è arrivato un signore che parla il linguaggio della serietà, della responsabilità, del senso del dovere. O capiamo che la rivoluzione di Monti è questa – ha detto Casini – oppure non abbiamo capito il senso di nulla. Noi non pensiamo di poter tornare al passato – ha proseguito – alle cattive abitudini del passato. Quindi inviterei Bersani, pur nella foga da campagna elettorale, di essere un po’ più cauto sul Monti bis… molti sono vicini a lui”.

Una risposta, quella di Casini, che ha provocato anche la contro risposta di Bersani. Che ha battuto sullo stesso tasto: “Casininon è un mio suddito, ma deve decidere”. Quanto alle accuse del leader centrista, Bersani ha aggiunto: “Non sto chiedendo di avere il 55% di seggi con il 30% dei voti. Questo è il porcellum, che non abbiamo votato noi. Io chiedo un ragionevole premio di governabilità alla coalizione o al partito che arriva primo. Non chiediamo una maggioranza assoluta a sbafo. Un premio del 10-12,5% è la soglia minima per garantire un minimo presidio di governabilità a chi arriva primo. Al di sotto si rischia la frammentazione e l’ingovernabilità”.

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