Elezioni regionali lombarde del 2010. Angelo Giammario, uomo Pdl, già sottosegretario dell’ex presidente Roberto Formigoni, corre per vedersi riconfermata la poltrona di consigliere. Obiettivo centrato: entrerà come ultimo degli eletti racimolando circa 7mila preferenze. Un tesoretto elettorale incassato in parte grazie al sostegno della ‘ndrangheta, ma anche degli uomini di Cosa nostra legati a Benedetto Capizzi, capo della commissione provinciale di Palermo arrestato nel 2009. Un fronte, quello siciliano, del tutto inedito e che è stato svelato ieri dal pm Alessandra Dolci durante la sua requisitoria al processo Infinito, l’operazione che il 12 luglio 2010 ha raccontato l’infiltrazione della mafia calabrese nella regione più ricca d’Italia. L’intervento dell’accusa si è chiuso in tarda serata con le richieste di 40 condanne. Decine di anni per tutti. Pino Neri, boss di Pavia, avvocato tributarista e massone incassa vent’anni. Un po’ meno, 13, per Chiriaco. Ben 14 anni e sei mesi, invece, per Ivano Perego, imprenditore lombardissimo che ha fatto entrare i boss nella sua azienda di trasporti. Eppure, al di là delle condanne sulle quali dovrà ragionare la corte, l’ultimo grande processo milanese alle ‘ndrine lascia in eredità una storia paradigmatica sul rapporto tra politica e mafia all’ombra del Duomo.

All’aula bunker di San Vittore è mezzogiorno, quando il pubblico ministero, trattando la posizione di Carlo Antonio Chiriaco, l’ex ds dell’Asl di Pavia accusato di concorso esterno, svela gli interessi di Cosa nostra sulla riconferma politica di Angelo Giammario. Il magistrato fa di più: collega il sostegno elettorale all’ottenimento di un appalto con l’ospedale San Paolo di Milano. Circa due milioni di euro per i servizi infermieristici all’interno del carcere di Opera. Non cosa da poco, visto che in questo modo la ‘ndrangheta avrebbe potuto far assumere suoi uomini all’interno di una casa circondariale che ospita il gotha mafioso: da Totò Riina ai potenti boss calabresi. Una scoperta clamorosa che emerge dall’indagine sulla morte di Pasquale Libri, l’ex dirigente del San Paolo nonché persona vicina ad ambienti mafiosi, suicidatosi all’interno dell’ospedale il 20 luglio 2010.

Ecco allora i fatti, riannodati ieri in aula. A partire dalle intercettazioni in cui Chiriaco chiede al boss Cosimo Barranca di far arrivare 50 fotocopie a Giammario. Per oltre due anni si è pensato che il numero fosse riferito a del denaro. Falso. A spiegarlo è stata la dottoressa Dolci che ha tradotto quelle fotocopie in certificati elettorali. La telefonata è del 2007. E dunque, già tre anni prima del voto, Chiriaco sceglie il cavallo su cui puntare. Per farlo chiede aiuto a Cosimo Barranca. Tra i due il rapporto risale al 2004. Chiriaco, spiega il pm, ci tiene all’amicizia del boss tanto da invitarlo a un evento con l’europarlamentare del Pdl Mario Mauro, fedelissimo di Formigoni.

I contatti ci sono. Gli accordi politico-mafioso si sdoppiano, pur mantenendo un obiettivo comune: far eleggere Giammario che non risulta indagato. Cosimo Barranca sarà lo spallone per le preferenze calabresi. La parte siciliana spetta, invece, a Gianluca e Pietro Castellese (non indagati), padre e figlio, il primo, con precedenti per rapina, risulta cugino del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo.

Nel gennaio 2010 la ‘ndrangheta invia emissari al comitato elettorale. C’è Libri, è c’è Barranca con l’amante. Non più di 10 persone in tutto. Giammario, racconta la Dolci, parla con la donna. In aula il politico, sentito come teste, dirà di aver ricevuto da lei la promessa dei voti dei pensionati in cambio di un incarico di portaborse. Il pm, però, ci crede poco. Deve esserci dell’altro. Ragiona l’accusa: a quell’incontro, infatti, spunta anche l’allora direttore amministrativo del San Paolo Pierluigi Sbardolini, il quale, all’epoca, si occupa anche della campagna elettorale per Giammario E’ lui, pur non indagato, il contatto con Chiriaco.

I voti alla fine arrivano. Tanto che ad aprile 2010 Barranca è al telefono con Castellese. Riassume il pm: “Dobbiamo fare due chiacchiere – dice il boss calabrese – , la persona a cui abbiamo dato una mano è in debito”. Il saldo, secondo la ricostruzione della dottoressa Dolci, arriva con la commessa del San Paolo. Affidato (e poi revocato) al Consorzio Fatebenefratelli, dietro al quale, sostiene l’accusa, si celano gli interessi delle cosche. Un appalto pilotato, visto che nella commissione giudicante era presente un medico dell’Asl di Pavia, dunque dipendente di Chiriaco, incaricato dallo stesso di redigere il progetto per conto del Consorzio. Questa la storia. Plastica dimostrazione di cosa significhi nei fatti l’accordo politico-mafioso. Oggi in Lombardia. 

 

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