“Se Grillo vince nessuno può levargli i seggi”. Dopo lo strappo di ieri sulla riforma della legge elettorale, il presidente della commissione Affari costituzionali Carlo Vizzini (ex Pdl, ora Psi) ha rispedito al mittente la ‘soglia anti M5S‘ passata ieri in commissione al Senato su emendamento presentato da Francesco Rutelli. Una soglia – premio di maggioranza al partito che raggiunge il 42.5% – votata da Pdl, Lega, Api, Mpa. Ma anche dall’Udc, il che ha mandato su tutte le furie il Pd, il quale ha parlato di sgambetto da parte di Casini e rilanciato la proposta del ‘premietto’ di maggioranza per il primo partito (10%). Oggi, però, si cerca di ritrovare un punto di unione. E’ lo stesso Vizzini ad annunciarlo. ”Le forze politiche si incontreranno in giornata per trovare una intesa dopo lo strappo di ieri – ha detto il presidente della commissione – Io proponevo di accantonare la materia su cui poi c’è stato lo strappo e di proseguire con altri punti”.

Poi la stoccata a Francesco Rutelli. “Dobbiamo sapere che si fa una legge per gli elettori e non contro qualcuno e l’arrivo di forze nuove come il Movimento 5 Stelle ha tutto il diritto di esser rappresentato” ha detto Vizzini secondo cui “Grillo ha ottenuto un gran risultato in Sicilia e se lo ha anche a livello nazionale verrà a Roma perché lo vogliono gli elettori”. Questo per quanto riguarda la linea da seguire. Ma non manca il commento politico, anzi la stilettata di Vizzini: “Non facciamo scambi con altri fenomeni quando a Roma ci si veniva con una marcia. Se Grillo vince nessuno può levargli i seggi”.

Dichiarazioni, quelle del presidente dell’organismo parlamentare, che hanno dato il là a tutta una serie di reazioni politiche. Più o meno concilianti. Casini, ad esempio, non lo è stato. “E’ una cosa che se non fosse ridicola sarebbe lunare. Quello che è accaduto ieri in Senato è quello di cui si discute da quattro, cinque mesi” ha detto il leader Udc Pier Ferdinando Casini a margine all’Assemblea delle cooperative agricole. “Sul premio di maggioranza al partito di maggioranza relativa come ha chiesto la Corte Costituzionale, bisogna fissarne il tetto  – ha spiegato Casini-  Il problema è quello che si vuole. Vogliamo lasciare una legge elettorale che permette a Bersani e Vendola di raggiungere il 55% con il 30% dei voti? Chi vuole questo alzi la mano. Io non lo voglio. e forse il Pd vuole tenersi il Porcellum”. Ennesimo strappo, quindi. Anche se Giorgio Merlo (Pd) ha cercato di aprire un varco. “Sulla riforma della legge elettorale non si può procedere a colpi di maggioranza e con rapidi blitz in Parlamento. A nessuno è permesso – ha detto Merlo – Detto questo, però, ci sono tutti i margini per riportare il confronto sulla futura legge elettorale lungo i binari della ragionevolezza e del buon senso. Senza drammi e senza strappi”.

Più dura la presa di posizione del coordinatore della segreteria del Pd Maurizio Migliavacca: “Nessuno vuole il 55 per cento dei seggi con il 30 per cento dei voti. Casini eviti di scherzare su un tema così serio. Non è proprio il caso. Il punto è che si sta parlando di una riforma elettorale che in premessa nega ogni possibile governabilità. Lo diciamo non per il Pd, ma nell’interesse dell’Italia”. Anna Finocchiaro, invece, ha spostato l’interesse sul ritorno al dialogo per ricomporre lo strappo. ”Stasera sarà un momento cruciale” ha detto capogruppo del Pd al Senato, che poi ha ricordato gli obiettivi del Pd sul tema. “Pensiamo – ha spiegato – che la soglia del 40 per cento debba essere comunque posta come limite alle coalizioni per il premio di maggioranza, pensiamo che se quella soglia viene raggiunta la coalizione vincente debba avere la maggioranza del 54 per cento sia alla Camera che al Senato, pensiamo che in caso contrario al primo partito vada un premio che noi stimiamo sul 12 per cento, ma che non può essere inferiore al 10. Noi pensiamo che l’Italia – ha detto l’esponente del Pd – abbia bisogno di un governo stabile, coeso e forte, altri pensano che sul tema della legge elettorale si possa trovare un escamotage per non avere né vinti né vincitori. Noi crediamo che questo non faccia bene all’Italia e non lo possiamo consentire”.

Dal Pdl, invece, reazioni contrastanti. Gasparri ha aperto al ‘premietto’ per il primo partito, Bondi ha letteralmente affossato Casini. ”Siamo aperti al confronto sul premio al primo partito, se qualcuno lo propone ne discuteremo” ha detto il capogruppo del Pdl al Senato, riferendosi alla proposta D’Alimonte. Per il resto, però, Gasparri difende la scelta della soglia al 42,5% per ottenere il premio di maggioranza. “E’ stata una decisione giusta e doverosa perché non si può dare il premio della governabilità a forze che no raggiungono neanche il 30%”. Diverso il parere di Sandro Bondi, che ha sparato a zero sulle mosse dell’Udc: “Forse non ci si rende conto che Casini sulla legge elettorale persegue non solo la creazione di una condizione di ingovernabilità dopo le prossime elezioni, ma al tempo stesso il definitivo disfacimento del bipolarismo a favore di un centro arbitro delle decisioni più importanti”. Non solo. “Questo effetto combinato di ingovernabilità e di ritorno ad una pratica consociativa in salsa tecnocratica, con l’aggiunta magari delle preferenze – ha detto il coordinatore berlusconiano –  porterebbe alla paralisi politica e ad una fetida palude”.

Il presidente del Senato Renato Schifani, invece, punta sul ritorno al dialogo tra i diversi schieramenti. “Stiamo lavorando affinché le contrapposizioni di ieri possano ricomporsi in Commissione ed in Aula – ha detto Schifani – Sono fiducioso che il nostro impegno deve essere quello di esitare un testo il più largamente condiviso. E’ necessario che le regole siano scritte a più mani”.

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