Mostrano fieri le proprie creazioni, le ragazze e i ragazzi di Soko Kenya: si tratta di abiti e accessori che hanno realizzato con grande professionalità e tecnica. E’ questo uno degli obiettivi del laboratorio Soko: dare alla popolazione keniota la possibilità di imparare un mestiere. Una via di fuga dalla povertà, senza passare attraverso la carità, ma secondo una visione di lungo periodo e di auto-affrancamento. Soko produce abiti e accessori realizzati in modo etico ed eco-friendly: la produzione, competitiva dal punto di vista del prezzo, è destinata all’esportazione nel mercato internazionale. E’ stata Joanna Maiden, inglese ma ormai keniota d’azione, a fondare Soko nel 2009: il progetto è partito con un solo cliente e quattro lavoratori, oggi i clienti sono nove e i lavoratori sono arrivati a quota trenta. 

A spingere Joanna in questa avventura hanno contribuito anche Olivia Kennaway e Alice Heusser: una vita passata in Sudafrica, dopo aver studiato fashion design a Cape Town, le due ragazze hanno creato il marchio Lalesso, la cui produzione è curata interamente da Soko e la cui filosofia è in totale sintonia con quella della solare Joanna.

L’idea di Soko, ovvero quella di dare all’Africa i mezzi necessari alla creazione di poli produttivi validi, competitivi ed etici, non è un caso isolato e, anzi, nomi illustri hanno fatto la loro comparsa in suolo africano, con gli stessi obiettivi di Joanna.

Edun è il marchio creato nel 2005 da Ali Hewson e Bono (lui è proprio “quel Bono lì” e lei è sua moglie). Dal 2009 Edun produce la linea “Live”, una collezione di t-shirt interamente “made in Africa” e l’obiettivo è quello di arrivare a produrre in Kenya, Madagascar e Uganda il 40% dell’intera collezione, entro il 2013.

Nasce con la stessa filosofia anche Made, un marchio di gioielli e accessori realizzati interamente in Kenya, che vede la collaborazione, come designer, della giovane Peaches Geldof, che dal padre Bob deve aver ereditato la passione e l’impegno attivo contro la povertà in Africa.

Il Ghana è, invece, il luogo scelto dal marchio Sika per creare e produrre la propria collezione, mentre la giovane Stephanie Hogg ha scelto di lavorare in Sierra Leone: è lì che insegna ai ragazzi che lavorano con lei l’arte della sartoria ed è lì che trova ispirazione per le collezioni del suo marchio, NearFar.

Produrre moda sembra essere una soluzione possibile per aiutare alcune zone africane ad uscire dalla povertà. E se è vero che l’obiettivo dovrebbe essere il controllo dell’intera filiera moda, compresa la parte creativa, la risposta c’è, perché iniziano ad affacciarsi al mercato internazionale alcuni designer africani di talento, come le giovani nigeriane Bridget Awosika e Lisa Folawiyo.

Riuscire a padroneggiare il ciclo moda può rappresentare un grande traguardo per alcune zone africane, nell’attesa di affiancare all’esportazione anche il consumo interno. Certo, oggi solo una piccola parte della popolazione può permettersi di comprare beni e si tratta, comunque, di prodotti che appartengono alle fasce di prezzo più basse. Tuttavia, secondo l’Eiu Report, le popolazioni dei 18 principali paesi africani avranno, entro il 2030, un potere d’acquisto di 1,3 trilioni di dollari.

L’Africa sta diventando, con orgoglio e tenacia, non più solo un Continente con un grande bisogno di aiuto e tanta strada ancora da fare per affrancarsi dalla povertà: è arrivato il momento di iniziare pensare a questa terra anche come una partner, per produrre e creare.

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