Da ieri la morte disumana di Francesco Mastrogiovanni ha dei colpevoli. Legare il maestro elementare di Castelnuovo Cilento al letto del reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania dove fu ricoverato in seguito a un Tso, fu un vero e proprio sequestro di persona. Un sequestro che ebbe come conseguenza il decesso di Mastrogiovanni, un pezzo d’uomo di quasi due metri costretto caviglie e polsi alle maniglie del letto come un Cristo in croce per 82 ore consecutive interamente registrate in un dvd – pubblicato integralmente il mese scorso sul sito dell’Espresso – dove si vede il paziente spegnersi lentamente tra rantolii e lamenti.

A dire questo è il giudice monocratico di Vallo della Lucania Elisabetta Garzo nel dispositivo della sentenza letta nel tardo pomeriggio di ieri. Sentenza che condanna i medici che hanno avuto in cura Mastrogiovanni dal ricovero del 31 luglio 2009 fino al decesso avvenuto nella notte tra il 3 e il 4 agosto. Il giudice li ritiene responsabili di sequestro di persona, morte come conseguenza di altro reato e falso ideologico, per non aver annotato le contenzioni nella cartella clinica. Irrogando pene diverse a seconda delle funzioni e del tempo trascorso col paziente. Quattro anni per Raffaele Basso e Rocco Barone, 3 anni e mezzo per il primario Michele Di Genio, 3 anni per Amerigo Mazza e Anna Angela Ruberto, 2 anni per Michele Della Pepa (l’unico che beneficia della condizionale ). Per gli infermieri il giudice ha deciso l’assoluzione. La sentenza è severa. Fa a pezzi la tesi del pm di Vallo della Lucania Renato Martuscelli, che in requisitoria aveva sostenuto l’insussistenza del sequestro di persona perché, legando Mastrogiovanni, era stato “esercitato un diritto medico”, trattandosi di un paziente con conclamati problemi psichici manifestati nelle ore precedenti al ricovero e già sottoposto in passato ad altri Tso.

IL PM, CHE dall’analisi di perizie e controperizie si era convinto che Mastrogiovanni fosse stato stroncato da un malore cardiaco e non da un edema polmonare come sostenuto dal consulente della Procura, aveva ridimensionato le accuse ad omicidio colposo. Chiedendo la condanna solo dei medici e degli infermieri che avevano curato il maestro nell’ultimo giorno, per aver sottovalutato l’emergere dei problemi al cuore. Il giudice ha sentenziato diversamente, accogliendo in sostanza l’impianto della fase iniziale delle indagini, condotte dal pm Francesco Rotondo, ora in servizio alla Procura di Salerno.

Franco Mastrogiovanni aveva 58 anni e un passato burrascoso alle spalle. Era anarchico, aveva sofferto per una grave delusione d’amore, fu imputato negli anni ’70 in un processo per l’omicidio di un giovane missino dal quale uscì innocente ma segnato nell’animo. Fino al Tso dell’estate di tre anni fa che gli risultò fatale. Questa storia sarebbe forse rimasta sconosciuta se l’ospedale di Vallo della Lucania non fosse stato dotato di un sistema di videosorveglianza interno. Le telecamere ripresero l’agonia dell’uomo e i fermi applicati ai polsi e alle caviglie, mai slegati durante la ‘contenzione sanitaria’. Una prassi, in quel reparto di psichiatria (poi chiuso): l’accusa ha prodotto in aula le cartelle di altri 22 pazienti sottoposti alla contenzione.

IL PM ROTONDO sequestrò il sistema di registrazione poche ore dopo la morte del maestro. I tecnici masterizzarono i 65 file video della sua degenza in un dvd che ha rappresentato la prova regina di un processo conclusosi ieri dopo 23 udienze. Tra i familiari di Mastrogiovanni l’emozione era percepibile: “Questa sentenza lo riabilita, dimostra che è stato vittima di un trattamento ingiusto: i malati vanno curati, non torturati”. L’avvocato Michele Capano, parte civile per il Movimento per la Giustizia Robin Hood, chiosa: “Siamo contenti perché si stabilisce finalmente che con il Tso non si entra in una terra di nessuno e se non ne esiste la necessità, come in questo caso, legare un paziente è un atto palesemente illegittimo”.

da Il Fatto Quotidiano del 31 ottobre 2012 

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