Non si esce vivi dagli anni Ottanta, cantava Manuel Agnelli, anche dopo aver fatto un’accurata valutazione dei pro e contro di una vita rampante. Qualche decennio prima, era il 1977, i Sex Pistols avevano profeticamente lanciato il loro grido al nuovo decennio incombente, con l’unica visuale possibile del no future for you. Il decennio della superficialità dopo i pesanti anni di piombo, del boom economico e dello yuppismo, delle spalline imbottite e della disco dance, delle tv commerciali e del baldanzoso arrivismo politico trascina fino all’oggi i suoi strascichi lasciandoci eredi di un vuoto ideologico, culturale, di speranze e sogni che proprio in quegli anni cominciava a costruire solide radici.

Sono gli anni Ottanta vissuti nella periferia bolognese i protagonisti de I Malriusciti (edizioni Elliot), primo romanzo di Mirco Dondi, docente di Storia Contemporanea all’Università di Bologna. La storia è quella di quattro amici, tre ragazzi ed una ragazza, che si affacciano alla maturità tra aspirazioni, musica, politica e ambizione. Una vicenda che affonda le radici nell’autobiografia: “i protagonisti sono, come me, figli degli anni Sessanta, ragazzi cresciuti a Zola Predosa, ribattezzata Pietosa da chi, come me ed altri miei coetanei, si ribella all’inevitabile destino da bar della provincia, e fugge per tentare la propria strada”. I Malriusciti si disperdono tra Roma, Napoli e l’Australia, conservando intatto però il ricordo di un’amicizia forte come può essere soltanto quella dell’adolescenza o della prima giovinezza, al limitare della soglia sulla quale evapora ogni leggerezza e si fanno i conti con una realtà che impone compromessi e decisioni.

“Ognuno dei quattro protagonisti racconta e si racconta in prima persona” continua Dondi “costruendo un quadro sfaccettato e multiprospettico di una realtà che si muove tra storia personale e collettiva, anche se di collettivo rimane solo il ricordo degli anni Settanta e di un fare politica che investiva la dimensione quotidiana dell’esistenza”. Anni che tramontano assieme al sogno della rivoluzione possibile e della creatività al potere, tra il rumore dei carri armati e quello devastante della bomba del 2 agosto 1980. Dondi, per inevitabile deformazione professionale, inserisce agganci alle vicende storiche dell’epoca: “la strage di Bologna, certo, che ci arrivò dall’immancabile radiolina accesa con tutta la sua forza devastante, ma pure i funerali di Berlinguer e il dolore del popolo, la brutta notizia dell’elezione a Presidente del Consiglio di Cossiga appannata dai festeggiamenti di fine anno per l’ingresso nel nuovo decennio, il sostegno del governo italiano al regime di Siad Barre in Somalia ammantato della maschera degli aiuti umanitari”.

Mentre i quattro giovani tentano di trovare la loro strada, tra i borlenghi bisunti di mamma e le raffinatezze da gourmand dei salotti romani in cui  cominciano ad apparire sushi e cucina fusion (altra abnormità, quella della contemporanea religione del gastronomico, che affonda le radici in quell’epoca). Con la loro band, ovviamente, gli Psychedelic Casadei, ed il loro tentativo di rilettura in chiave hard rock del liscio da balera della Festa dell’Unità. Che la musica è la sola cosa sacra rimasta, e i concerti bolognesi di Patti Smith e Lou Reed sul finire degli anni Settanta diventano la celebrazione di un’epoca al tramonto, mente si affaccia alla ribalta del contemporaneo l‘individualismo incarnato al cinema da John Travolta/Tony Manero: non a caso Staying Alive è la prima delle numerosissime citazioni musicali che punteggiano il romanzo.

Così come non mancano i personaggi paradigmatici della politica, come quello dell’onorevole Baldizzone, “figura più che riconoscibile, inutile anche farne il nome” dice Dondi. “Baldizzone è il politico rampante, l’uomo di successo che troneggia nei salotti e si compiace della nuova ribalta di Sanremo dopo l’offuscamento del salotto nazional popolare della canzone negli impegnati anni Settanta”. La sconfitta dell’intelligenza diventa così, nella prospettiva del romanzo, il marchio più riconoscibile degli anni Ottanta. “Mi sono documentato sui giornali dell’epoca” dice Dondi “ritrovando notizie straordinarie,  come l’annuncio dell’imminente costruzione del ponte sullo Stretto, da terminarsi entro il 1994, da parte di “governo di fatti e non di parole, cosa che ci suona piuttosto familiare”.

Anche se più di riflessione che di fatti si nutrono gli anni Ottanta raccontati dai quattro amici del romanzo di Dondi, che si trovano a fare i conti con il crollo della stagione dell’azione per eccellenza. Anni che si riflettono nei paesaggi descritti da Dondi, vaghi, nebbiosi ed incerti, che si conservano inalterati nella loro indeterminatezza dalle campagne bolognesi alle lande sterminate dell’Australia. Con la netta sensazione che manchi la terra sotto ai piedi, che le speranze siano tramontate definitivamente, che ci si ritrovi orfani, costretti a camminare in una sorta di limbo, segnati per sempre dal fantasma di un’epoca che ha il sapore del crollo di un mondo. Un decennio che con un crollo ed il boato di una bomba si apre, e con quei detriti, la polvere ed un cielo annerito è costretto a misurarsi.

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