“Io bevo il cappuccino e mi ci beo/se penso a Leonardo, a Galileo”: questi sublimi versi sono opera di Roberto Benigni. Ai tempi del primo governo Berlusconi, Benigni portava in giro uno spettacolo di monologhi e canzoni satiriche un po’ scritte e un po’ improvvisate sulla nuova situazione in cui l’Italia si era venuta a trovare: uno dei punti più alti toccati dalla satira politica degli ultimi decenni.

La canzone di cui sopra, intitolata Quando penso a Berlusconi, raccontava, in prima persona, di un tizio molto amante della sua e nostra patria, delle sue tradizioni e dei suoi geni, un tizio che “e poi penso a Cicerone/ e mi va su la pressione/penso a Coppi sul Tonale e mi sale su il morale”. Ma c’era un problema: “quando penso a Berlusconi/ mi si sgonfiano i…….”.

La storia aveva uno sviluppo boccaccesco di cui era protagonista una tal Luana, una donna bellissima dalle forme simili all’Italia (compresi “laghi, monti e parco naturale”) che però, “nel momento culminante” si rivolgeva al nostro eroe con un fatale “mi consenta”. Ecco, mi è tornata in mente la canzone, non per il finale boccaccesco ma per l’inizio dedicato a Galileo, quando ho sentito le dichiarazioni del ministro Clini sulla sentenza di condanna agli studiosi colpevoli di aver negato il pericolo di sisma a L’Aquila.

Sì perché, come nella canzone di Benigni, non c’è modo più sgangherato e comico di evocare Galileo, che con la sentenza in questione c’entra come i cavoli a merenda. La sortita di Clini rivela quanto il discorso politico abbia ormai smarrito, in questi anni, non solo la prudenza e l’equilibrio necessari a certi livelli ma anche ogni legame con la logica e con la verità storica. Anche a un bambino delle elementari che abbia studiato la storia di Galileo appaiono evidenti alcune differenze con il processo dell’Aquila.

Per esempio il fatto che, mentre Galileo proponeva una teoria che, anche se fosse stata falsa, non avrebbe procurato danni a nessuno (un reato d’opinione in senso letterale e non in quello che intende Sallusti), il parere della commissione grandi rischi qualche danno a terzi l’ha procurato. Oppure il fatto che Galileo subì un processo dal tribunale dell’Inquisizione che non concedeva molte garanzie alla persona dell’imputato, mentre il processo dell’Aquila si è svolto nel rispetto di tutti i diritti della difesa.

A meno che il ministro non pensi che in Italia vigano procedure barbare, in contrasto con la Costituzione e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, un po’ come sosteneva Martelli per i processi a Craxi: una posizione po’ singolare per un ministro della Repubblica. C’è, infine, un piccolo particolare a fare la differenza: la commissione ha sbagliato, non ha semplicemente detto che il terremoto non si può prevedere, ma che non c’era alcun pericolo, una tesi smentita dai fatti e, a quanto pare, suggerita dall’esterno, a differenza di quella di Galileo che non si è fatto suggerire da nessuno e aveva pure ragione nel merito. A meno che Clini non sia convinto che anche Galileo sbagliava e che è il sole a girare intorno alla terra.         

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