Perché non di rado il giornalismo si serve della parola “suq” per indicare negativamente una situazione o un luogo? Su cosa è fondata l’attribuzione di questo significato spregiativo, del suq come confusione, disordine, degenero e caos senza senso?
Ancora in questi giorni è comparso sul sito web de Il Secolo XIX, il titolo “Il Suq degli ormoni per i bambini”, riferito allo scandalo dei soldi e regali per prescrizioni gonfiate, dati da una casa farmaceutica ad oltre 60 medici tra cui 5 liguri.

Forse ci colpisce che si usi con tanta leggerezza un’espressione del genere perché in Liguria il Suq è oramai per tutti i cittadini il nome di un Festival che quest’anno giunge alla quindicesima edizione, patrocinato da quattro ministeri e dall’Unesco, segnalato sul portale europeo Ideaassonline come una delle manifestazioni che contribuiscono a promuovere lo sviluppo umano nel mondo. E, notizia di ieri, la Liguria ha vinto a Matera il Premio “Regioni dei Festival” grazie anche al Suq Festival.

In una lettera inviata a Il Secolo XIX venerdì 19 ottobre Lucy Ladikoff, docente di Lingua e Traduzione Araba all’Università di Genova, e Carla Peirolero, ideatrice e direttrice del Suq Festival e Compagnia, tornano sull’origine e il significato autentico del concetto.

«Al-sūq: questa parola di origine forse aramaica (la lingua di Gesù) non ha sempre indicato il “mercato” in senso stretto. Durante il periodo preislamico, al-sūq era un centro di potere economico e culturale. Il sūq si sviluppava in una stagione specifica per la durata di due settimane o più, all’interno di strutture murarie protette, secondo una disposizione che potremmo definire, approssimativamente, a cerchi concentrici.

Chiunque avesse qualcosa da esibire (orafi, speziali, venditori di stoffe, di cammelli o altro bestiame, cantastorie e poeti) lo portava al sūq. Tra le iniziative più amate dal pubblico del sūq vi erano le gare di poesie declamate ad alta voce, il cui vincitore veniva premiato da emiri e capi tribù. L’inaugurazione del sūq produceva fermento in tutta la città. Le massime autorità provenienti da tutta l’Arabia erano orgogliose di presenziare e augurare il successo a tutti».

Qualcosa che si ripete oggi con grande apprezzamento di pubblico e che pare essere entrato nel cuore di molti come dimostrano diverse testimonianze.

«Ci fa piacere ricordare a cosa ci siamo ispirati quattordici anni fa nel creare il Festival di Genova – concludono Ladikoff e Peirolero – come luogo d’incontro di tutte le culture del Mediterraneo e non solo, con la speranza che un po’ più di attenzione alle parole usate – specie sui media – contribuisca a una maggiore sensibilità di tutti verso gli spazi dell’intercultura. La via secondo noi obbligata perché la potenziale “emergenza” diventi opportunità».

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