Confucio pare abbia detto: “Quando le parole perdono il loro significato, le persone perdono la propria libertà”. Come infatti poter vivere insieme, capirci e sostenerci, se diamo significati diversi alle parole che usiamo per riuscire ad accordarci?

L’orizzonte della giustizia ha la sua logica: se, in quanto esperto, sostieni che una situazione non è pericolosa, e poi invece lo è, ed esseri umani hanno perso la vita a causa della tua previsione errata, devi rispondere delle conseguenze, ne hai la responsabilità – secondo il giudizio del processo di L’Aquila.

Dal punto di vista del mondo scientifico, ci sono numerosi fenomeni intorno ai quali si può parlare solo in termini di possibilità o probabilità, non di certezze e garanzie. E pare che per quanto riguardi i terremoti questa sia la situazione. Può essere probabile che nulla di grave accada, dopo che sono state registrate scosse di terremoto, ma la catastrofe resta possibile: una finezza linguistica, la differenza tra possibile e probabile.

E’ probabile che casa mia resti in piedi, mettiamo, in caso di terremoto di media entità, ma resta possibile l’eventualità opposta, e non esiste esperto che possa darmi una garanzia al riguardo, soprattutto dopo questa sentenza.

L’opinione pubblica tuttavia si aspetta informazioni chiare e un sostegno sicuro, dalla scienza, una sicurezza che forse questa non può dare. La politica dal canto suo si aspetta che gli esperti tranquillizzino la popolazione, ed evitino che questa cada nel panico.

Se davvero ci rendiamo conto di essere provvisori, sulla terra, vulnerabili, in balia di incertezze economiche, di un disastro ecologico annunciato, di testate nucleari che sono ancora lì, malgrado non facciano più notizia, di terremoti, maremoti, epidemie ed altri pericoli, più o meno conosciuti – in tal caso chi può ancora rassicurarci, e prendersene anche le responsabilità personalmente, e di fronte alla legge?

Gli scienziati sembra abbiano risposto all’aspettativa della politica, rassicurando gli abitanti, pochi giorni prima del terremoto di L’Aquila. Di certo, se allora avessero saputo che le loro parole sarebbero state interpretate come una garanzia, non le avrebbero espresse: un malinteso tra le aspettative di mondi diversi? Un problema di comunicazione?

Quando subiamo una pur piccola operazione, in ospedale, ci fanno firmare una carta in cui leggiamo che accettiamo le possibili conseguenze indesiderate; firmando dichiariamo di essere consapevoli che un danno pur poco probabile è sempre possibile. E il medico risponde in senso penale solo se ha fatto un errore che doveva con certezza essere in grado di non fare. Un terreno incerto, insomma.

I giornali internazionali hanno accolto il risultato del processo di L’Aquila con uno stupore che condivido. Di solito non siamo responsabili in senso penale di avvenimenti che non possiamo controllare, come un terremoto. Non lo siamo nemmeno se, come esperti, abbiamo detto che non sarebbe avvenuto: forse in tal caso ci siamo espressi in modo imprudente o non chiaro, ma non per questo possiamo credere che altri ritengano che le nostre parole siano una garanzia. Questo processo è un esempio di come mondi diversi interpretino le parole, sulla base di sfondi di aspettative diverse.

L’aspettativa della sicurezza assoluta mi pare invivibile. Se questo è quel che ci si aspetta da scienziati ed esperti, nessuno potrà più, in questa veste, esprimere il proprio parere. Nessuno firmerà più un certificato che attesti che la statica di casa mia tiene, ad esempio. Ci aiuta a collaborare e fare del nostro meglio insieme, quindi, esigere sicurezza

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