“Non penso ci siano molti elettori indecisi disposti a far dipendere il loro voto dall’Eurozona”. La frase è di un collaboratore di Mitt Romney e descrive bene il sentimento della campagna repubblicana, e probabilmente anche di quella democratica, alla vigilia del terzo e ultimo dibattito presidenziale tra Barack Obama e Mitt Romney a Boca Raton, Florida. Il confronto sarà dedicato interamente alla politica estera, un tema che nell’America 2012 non ha trovato particolare spazio. Sono d’altra parte lontani gli anni di George W. Bush, quelli in cui “war on terror” ed “esportazione della democrazia” erano diventate espressioni comuni del dibattito politico. Quest’anno l’attenzione esclusiva è andata al lavoro e al declino della classe media. In Ohio, Florida, Virginia, New Hampshire, Wisconsin, Colorado – in tutti i battleground states più importanti – le elezioni si vincono o si perdono sui temi dell’economia. Democratici e repubblicani lo sanno e il “mondo” è stato praticamente assente dalla campagna.

Si sbaglierebbe comunque a sottovalutare il confronto di stasera. Se Bob Schieffer di CBS News – un giornalista conosciuto per la sua equidistanza ma non per le doti di particolare energia – sarà capace di frenare la retorica su tasse e rinascita della classe media, il confronto potrebbe riservare alcune interessanti sorprese. Obama e Romney non hanno posizioni di politica estera diametralmente opposte. Probabile che stasera Obama enfatizzi l’uccisione di Osama bin Laden e la promessa mantenuta di ritiro dall’Iraq. Probabile che Romney lo attacchi sulla crisi delle ambasciate e il nucleare iraniano. Il dibattito potrebbe comunque favorire quello che finora è mancato a queste elezioni. Una riflessione sul ruolo dell’America nel mondo. Uno sguardo alla politica americana dei prossimi quattro anni.

 Obama, stasera, parte favorito. Il presidente arrivò alla Casa Bianca, nel 2008, senza una particolare preparazione di politica estera. In questi quattro anni le crisi da gestire sono state però tante e Obama più volte, nei mesi scorsi, ha rivendicato i suoi meriti. Ha spiegato: “Ho detto che avrei chiuso la guerra in Iraq, e l’ho fatto. Ho detto che avrei braccato al-Qaeda e bin Laden, e l’ho fatto. Ho detto che avrei favorito la transizione in Afghanistan, e lo sto facendo”. Tutto in salita invece il compito di Romney. Quasi ogni sua uscita di politica estera si è trasformata in un mezzo disastro. Le battute sulla “Russia nemico numero uno” e la freddezza sulla soluzione dei due Stati per Israele e Palestina hanno sollevato preoccupazioni nella comunità internazionale. E mentre l’ambasciatore J. Cristopher Stevens veniva ammazzato a Bengasi, Romney convocava una conferenza stampa contro Obama. Una serie di passi falsi che il candidato repubblicano dovrà stasera, in qualche modo, correggere. Questi sono comunque alcuni dei temi che con ogni probabilità emergeranno dal confronto di stasera.

IranNel dibattito tra i candidati vice-presidenti, Joe Biden e Paul Ryan si sono scontrati sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Teheran. Biden ha rivendicato l’eccezionalità delle sanzioni imposte – “le più dure mai approvate” – e ha sfidato Ryan a proporre una politica diversa. “Volete fare la guerra a Teheran?”, ha chiesto polemicamente. “L’articolo di ieri del “New York Times” rilancia comunque la questione di cosa concedere all’Iran nel caso si arrivasse a un tavolo di confronto bilaterale. Romney ha più volte spiegato di essere contrario a dare all’Iran qualsivoglia capacità di arricchimento dell’uranio. Obama sa che è necessario concedere qualcosa (per esempio il carburante per un reattore che produce isotopi radioattivi destinati a uso sanitario) a patto che Teheran consegni le scorte di uranio parzialmente arricchito. Probabile anche che Romney attacchi Obama per un presunto allentamento dei rapporti con Israele. E’nota la risposta di Obama: “sotto la mia amministrazione i finanziamenti alla macchina bellica israeliana sono aumentati.” 

Libia. Nel secondo dibattito Romney è stato particolarmente debole nell’accusa a Obama di aver gestito male la vicenda dell’attacco a Bengasi. Probabile che stasera torni alla carica, chiedendo maggiori spiegazioni sul perché l’amministrazione ha per mesi sottovalutato gli allarmi sulla ripresa di attacchi anti-americani nell’area. Nel corso di un’intervista a “The Daily Show with Jon Stewart”, Obama ha ammesso “errori”. Il capitolo Bengasi resta il più scivoloso per lui, quello che potrebbe mettere in discussione la sua autorità di “commander in chief”.

Rivolte arabe. “La nostra capacità di contare nell’area è ormai nulla”, ha spiegato qualche giorno fa John McCain a Cnn. Probabile che questo sarà anche il pilastro dell’attacco di Romney al presidente. Il repubblicano ha avversato l’intervento in Libia – che Obama ha appoggiato – ma vorrebbe ora rifornire i ribelli siriani di munizioni antiaeree e armi anti-carro – politica che Obama considera con freddezza. L’atteggiamento di Romney sembra su questo punto dettato quasi esclusivamente dalla volontà di differenziarsi. Di qui la sua debolezza. Obama potrebbe sempre rispondere, come ha fatto Biden a Ryan, che “l’ultima cosa che gli americani desiderano è restare intrappolati nella guerra civile siriana”. 

Afghanistan. Entrambi i candidati concordano sull’abbandono del Paese entro il 2014. Con una differenza. Obama ritiene quella data fissata una volta per tutte. Romney vuole prima sentire il parere dei generali. Probabile che il repubblicano torni alla carica soprattutto con un argomento: il ritiro affrettato degli Usa dall’Afghanistan rischierebbe di cancellare i passi avanti compiuti e ridarebbe ai Taleban il controllo del Paese. Per Romney si tratta però di articolare il tema opposto. Nel caso di non-ritiro, quanti soldati americani dovrebbero restare? E per quanto tempo?

Cina. Romney ha annunciato che, nel caso diventasse presidente, denuncerà immediatamente la Cina per “manipolazione della valuta”. Oltre le dichiarazioni di facciata su politiche commerciali più severe, i due candidati dovranno elaborare meglio le linee della futura politica americana nei confronti di Pechino. La questione appare di straordinaria attualità, nel momento in cui la leadership cinese è pronta a un radicale ricambio e si annuncia nel Paese un’ulteriore giro di liberalizzazioni. 

Droni. Coperta dal fragore della campagna elettorale, la scorsa settimana è girata una notizia. David Petraeus, direttore della Cia, ha chiesto alla Casa Bianca di rafforzare la flotta dei droni, aggiungendo 10 esemplari ai 30-35 già in attività. Si tratta di una mossa clamorosa, che conferma la trasformazione della Central Intellgence Agency da agenzia di spionaggio in corpo para-militare. Obama in questi mesi si è dimostrato ancora più deciso di George W. Bush nel loro utilizzo. Oltre ai presunti terroristi, i droni hanno però ucciso centinaia di civili. Da tenere d’occhio quello che dirà stasera il presidente. Un ulteriore sostegno a questa strategia militare potrebbe riaccendere le proteste dei gruppi dei diritti civili in un momento delicato della campagna democratica. Ciò di cui Obama, al momento, non ha di sicuro bisogno.

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