Nell’ultima settimana due notizie mi hanno interessato.

1. Il ministro inglese per i rapporti col parlamento si è dovuto dimettere dopo le polemiche scaturite dalla sua frase rivolta a un vigile: “lei è un plebeo”.

2. Un prefetto italiano ha aggredito verbalmente per alcuni minuti un prete che aveva osato rivolgersi alla sua collega prefetto con l’appellativo di “signora” senza specificarne la carica.

In entrambi i casi emerge come il potente di turno (ministro e prefetto) si atteggi a superiore rispetto agli altri cittadini (vigile e prete). Le loro modalità di interloquire sono altamente aggressive. Nella parola plebeo emergono elementi di discriminazione e nella interazione del prefetto si può cogliere alterigia, l’alzare la voce per zittire l’interlocutore e la mancanza di buon gusto nel non accettare le parole di scusa del prete che palesemente non aveva voluto offendere la “signora prefetto”.

In molte gag la frase “lei non sa chi sono io!” prelude alla manifestazione delle miserie umane di colui che la pronuncia. Traspare quasi sempre un inconscio senso di inferiorità colmato dalla protervia cosciente. Si tratta della modalità di nascondersi dietro la carica istituzionale per averla vinta anche in situazioni ove la logica o il buon senso non lo permetterebbero.

La grande differenza che appare stridente fra Gran Bretagna e Italia è sulla modalità con cui queste vicende vengono accolte dall’opinione pubblica. Nel paese inglese la protervia e l’alterigia non sono state scusate mentre nel nostro paese si accetta supinamente che il potente di turno preposto (la parola prefetto deriva da questo termine) all’ordine pubblico umili i suoi concittadini.

Non credo che si dovrebbe arrivare a far dimettere il Signor Prefetto ma almeno che qualcuno lo redarguisca intimandogli: “Lei non sa chi sono io!….etc…etc…”

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