Così è, come Beckett ha voluto. Rappresentazione, testo, senso e non senso. Tutto uguale. Aspettando Godot che – dopo l’anteprima in Svizzera – Natalino Balasso porterà a Ferrara in prima nazionale è Samuel Beckett, puro e semplice. Semplice forse no, visto che si tratta di uno testi teatrali più complessi della prima metà del Novecento. Anzi, “la chiave di volta per la drammaturgia degli ultimi secoli”. Parola dello stesso attore, che insieme a Jurij Ferrini porterà in scena il capolavoro del maestro irlandese da giovedì 25 a sabato 28 ottobre al Teatro Comunale di Ferrara.

Teatro Comunale che proprio con questo spettacolo riapre la stagione di Prosa dopo il pericolo di uno stop forzato dovuto ai danni del terremoto di maggio. Per consentire il ritorno delle stagioni di musica, danza, lirica e appunto prosa si erano mobilitati in estate i grandi nomi della cultura, da Abbado a Pollini, con spettacoli che hanno consentito di raccogliere un incasso record di 130mila euro.

Del terremoto Balasso preferisce non parlare, se non per ricordare che “la gente si sente rinascere attraverso la cultura. A Ferrara e in Emilia è bello che questo possa succedere attraverso il teatro, che è contemporaneità di vivi, l’attore e il pubblico. Questo è un aspetto troppo spesso trascurato. Arte e cultura non sono staccati dalla vita. E invece mi sento di dire che una identità culturale avviene attraverso queste forme di arte, che poi sono i riti condivisi di sempre”. Eppure il terremoto è stato anche morti, macerie, polemiche sulla ricostruzione. “Quello che succede in Italia all’indomani di ogni tragedia è quello che succede in un paese corrotto. Ultimo esempio sono infatti le raccolte fondi e la loro destinazione dopo il dramma che ha colpito Ferrara e l’Emilia. Mi piacerebbe una civiltà nella quale non ci sia bisogno di raccogliere fondi di solidarietà, perché alla ricostruzione, alle case e alla popolazione, pensi lo Stato. Questo Stato, ahinoi, non è l’Italia”.

Ora però il Comunale è lì, pronto ad essere allestito come una strada di campagna, con albero. La scena scarna voluta da Beckett per la sua piece. Come detto, anche se la regia sarà di Jurij Ferrini (anche attore nei panni di Vladimiro/Didi), a tenere in mano la bacchetta sarà sempre Beckett. Il testo rappresentato è quello tradotto da Carlo Fruttero dal francese, pubblicato per i tipi di Einaudi nel ’56. Balasso sarà Estragone/Gogo. Michele Schiano di Cola e Angelo Tronca vestiranno i panni di Pozzo e Lucky, il padrone e il servo. “Non c’era nulla da cambiare”, spiega Balasso, perché “è da quel testo che finisce il teatro naturalistico e della sua idea che un albero rappresenti un albero. Oggi, nell’era del cinema, non ha senso cercare la veridicità nel teatro. È molto più forte invece cercare sul palco l’evocazione”.

L’evocazione, inutile dirlo, è quella di un’attesa. Che mai arriva. Quella di Godot. Attesa dell’arrivo della rivoluzione, di un cambiamento antropologico dell’umanità, secondo un’ermeneutica marxiana; attesa devota di un’entità sovrannaturale per un’interpretazione teleologica. Chi sia Godot non lo sapremo nemmeno dopo aver visto Natalino Balasso e Jurij Ferrini sul palco del Comunale. “Lasciamo in sospeso la risposta, perché Beckett la lascia in sospeso”. In realtà non è un sottrarsi, ma un aggiungere: “entrambe queste visioni sono valide, quella dell’attesa di una liberazione umana e quella dell’arrivo di un’entità sovrannaturale che tutto risolve. La chiave per rappresentarlo, in Beckett, è l’evocazione. Se diamo una lettura precisa del testo e del suo significato forziamo il pubblico ad aderire alla nostra lettura. Qui invece lo spettatore è libero. Libero di dare la propria interpretazione”. 

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