Sulla carta erano tutti codici rossi, il lasciapassare più immediato perché i detenuti si allontanassero dal carcere di Lecce per essere trasferiti in ospedale. Una volta giunti al pronto soccorso, però, quasi tutti si trasformavano in codici gialli, se non addirittura verdi. Una stranezza macroscopica nei numeri, tanto da far scattare un’indagine alla Procura salentina, dopo gli accertamenti effettuati dagli agenti della Polizia penitenziaria, al comando del commissario Riccardo Secci. L’informativa di reato è stata depositata qualche mese fa ed è ora nelle mani del sostituto procuratore Giuseppe Capoccia, che ha aperto un fascicolo, al momento a carico di ignoti. L’accusa ipotizzata dalla magistratura è di interruzione di pubblico servizio.

La percentuale di rinvii in ospedale, infatti, pare essere abnorme. Stando ai numeri forniti dalle guardie carcerarie, tra il gennaio del 2010 e il febbraio del 2011, solo il 13,4 per cento degli 846 casi presi in considerazione è stato confermato come effettivo codice rosso. Il restante 86,6 per cento, dopo il trasferimento al pronto soccorso dell’ospedale Vito Fazzi, è stato declassato a codice giallo o verde. Insomma, quasi la totalità degli spostamenti, che hanno viaggiato ad una media di oltre due detenuti al giorno, sarebbe risultata inutile, così come superfluo sarebbe stato l’impiego, ogni volta, di un’ambulanza e di almeno tre agenti di scorta. Un dato assolutamente non neutro, in una casa circondariale che soffre di carenza cronica di personale penitenziario, che si attesta sulle 715 unità, a fronte delle 767 assegnate dalla previsione ministeriale ferma, però, al 2001. Un parametro, questo, calcolato a fronte della capienza regolamentare di 660 detenuti. Attualmente, invece, a Borgo San Nicola ce ne sono il doppio, 1285. Numeri di un sovraffollamento drammatico, che è già costato allo Stato italiano la condanna per “lesione della dignità umana” da parte del tribunale di Sorveglianza di Lecce. 

Il solo dato della popolazione carceraria, però, non basta a spiegare l’esplosione dei rinvii in ospedale, altissima rispetto alla media nazionale, come confermato dalla stessa direzione dell’istituto di pena, affidata ad Antonio Fullone, che negli ultimi mesi ha stoppato decine di trasferimenti, perché illegittimi. Per legge, infatti, fuori possono essere inviati solo i reclusi in pericolo di vita o che rischiano una grave menomazione e non sono curabili all’interno dell’istituto. Fin troppi, però, affollano l’infermeria del carcere, anche perché questa è l’unica struttura in Puglia ad avere assistenza medica 24 ore su 24 e assistenza psichiatrica trisettimanale. Per fronteggiare la continua emergenza, nelle ultime settimane la Asl ha rafforzato la dotazione del personale medico, mentre drastica resta l’assenza della metà degli infermieri necessari.

Anche al netto di tutto ciò, tuttavia, 846 rinvii ospedalieri in 13 mesi non si spiegano, se non si ipotizzano altre cause, come fatto nell’apposito studio stilato dalla direzione del penitenziario. Ci può essere una condizione di stress dei medici, poiché non è facile governare la tendenza alla simulazione ed esasperazione propria dei carcerati; c’è il timore reverenziale rispetto al detenuto di turno; c’è l’impennata delle denunce contro i sanitari. Le verifiche, a questo punto, diventano possibili soltanto ex post, perché, questo è sicuro, nel bilanciamento di interessi, si preferisce rischiare di impegnare in modo inopportuno la scorta, piuttosto che esporre al pericolo la vita e la salute della persona. Se i pesi sulla bilancia siano stati incautamente falsati da valutazioni leggere, saranno le indagini a stabilirlo. Il sospetto è che questa routine sia diventata metodo, dando per scontata sempre la buona fede. Nell’ambito della stessa inchiesta, però, ci è finito anche il caso di un medico già noto alle cronache e già sospeso per due mesi dal servizio. Stavolta, avrebbe stabilito l’incompatibilità col regime carcerario di un noto pregiudicato, redigendo una presunta falsa perizia.

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