Se l’Italia allineasse la propria spesa pubblica, in proporzione al Pil, ai livelli della Germania, si troverebbero le risorse per abolire l’Irap e ridurre del 10-15% l’Irpef. Lo sostiene il rapporto La spesa pubblica in Italia e in Europa, di Pietro Monsurrò, fellow dell’Istituto Bruno Leoni.

Non solo. Secondo lo studio l’Italia spende tanto e male dato che ad eccesso di spesa corrisponde un’inefficienza dal punto di vista qualitativo.  “Gli italiani scontano un doppio spreco: essi ricevono servizi a un prezzo eccessivo e di qualità scarsa”, esordisce l’analisi secondo che spiega come la spesa pubblica sia necessaria per produrre beni e servizi pubblici. “Dunque, come per tutti i beni economici, è possibile affermare che può avere effetti inizialmente positivi per bassi livelli di spesa che man mano si riducono con l’aumentare di questa, fino a diventare trascurabili”. In altre parole, la spesa pubblica ha rendimenti marginali decrescenti. “D’altra parte, la spesa pubblica implica un certo livello di tassazione o di debito pubblico che può danneggiare la crescita e la stabilità economiche. Esiste quindi un livello di spesa ottimale oltre il quale i benefici sono superati dai costi ed è dunque economicamente vantaggioso tagliare – continua Monsurrò -. Ciò vale però a parità di efficienza della spesa, cioè della sua qualità. Una spesa di qualità bassa tende ad avere benefici minori e costi maggiori, e dunque il livello ottimale di spesa pubblica diventa inferiore perché lo Stato non risulta capace di produrre beni e servizi utili ad un costo sociale ragionevole”.

“Questo caso è rilevante in questo Paese, dato che la qualità dei servizi erogati dallo Stato Italiano è di norma bassa mentre i costi sono eccessivamente elevati”, sentenzia lo studio. Nel 2010 la spesa pubblica in Italia ammontava al 50,4% del Pil contro il 47,9% della Germania, il 56,6% della Francia, il 50,2% della Grecia, il 45,6% della Spagna ed una media della Ue a 15 del 51,1 per cento. L’analisi, quindi, scompone la spesa pubblica praticamente per tutti i capitoli e li confronta con quelli tedeschi con risultati paradossali.

Per quanto riguarda la protezione dell’ambiente, per esempio, l’Italia spende il doppio della Germania per la gestione rifiuti (lo 0,4% del Pil contro lo 0,2% tedesco), ma sottolinea l’analisi “non si direbbe che la Germania abbia problemi con la pulizia delle città”. Stessa situazione a proposito di spesa e qualità di servizi per la sanità che in Italia rappresentano il 7,6% del Pil contro il 7,2% in Germania. Ed ancora il discorso vale per i trasporti (1,7% in Germania, 2,% in Italia).

“Siccome risulta che in nessun ambito, dalla sanità all’istruzione, la Germania stia dietro all’Italia dal punto di vista della qualità del servizio, queste spese in eccesso sono in buona parte definibili come sprechi che non hanno una giustificazione economica e che rappresentano dunque soltanto una palla al piede, in termini di tasse e debito, per l’intera economia, anche se ciò che uno chiama spreco, un altro lo chiama rendita“, conclude Monsurrò che precisa che “è proprio la resistenza dei beneficiari degli “sprechi” a spiegare le enormi difficoltà politiche che si incontrano nel tentativo di rimuoverli.

Per lo studio, quindi, “allineando la nostra spesa a quella tedesca, introducendo incentivi che migliorino la qualità dei servizi pubblici e riducendo il debito attraverso una forte politica di privatizzazioni, potremmo risparmiare su base annua 50-60 miliardi di euro, sufficienti ad abolire l’Irap (che ha un gettito pari a 33 miliardi) e tagliare l’Irpef del 10-15 per cento”.

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