Osannati in ambito underground e considerati fra i migliori esponenti del panorama musicale indie italiano degli anni Duemila,  i Numero6 oggi sono cresciuti in scioltezza e brillantezza, anche se il motore della band resta l’egocentrismo del Mezzala, che nell’occasione sfoggia uno stile di scrittura ancor più irriverente e politicamente scorretto. Ma col talento che si ritrova, da vero fuoriclasse e trascinatore qual è, potrebbe anche monologare a piacimento. L’importante resta sempre cazzeggiare tra una possibilità e l’altra. E così, “lasciamoli agli hipster gli inni isterici e le falsità”, l’importante è che i ragazzacci siano tornati con quello che può esser considerato il miglior disco sfornato dalla ditta, intitolato “Dio c’è” che suona molto pop, ma talmente avvolgente e potente da riuscire a far cadere ogni barriera o confine di genere.  Prodotto da Urtovox/Audioglobe e anticipato dal singolo  “Fa ridere”, con Michele “Mezzala” Bitossi  proviamo a saperne di più parlando della loro ultima fatica.  

Michele, a un anno dall’uscita del tuo disco solista “Il problema di girarsi” prosegue quel racconto che hai iniziato anche in questo “Dio C’è” insieme con i Numero6.
Mi fa piacere che ravvisi una continuità tra questi ultimi lavori perché in effetti, come autore delle musiche e dei testi, era mia assoluta intenzione provare a scrivere in maniera un po’ diversa rispetto al passato, aprendomi anche all’esterno e provando a raccontare ciò che mi succede intorno. È una sfida nuova, non sempre agevole, ma che mi sta dando nuovi fondamentali stimoli. 

Come giudichi il disco e quali sono le vostre aspettative riguardo al vostro ultimo lavoro?
Sarò volontariamente molto banale e basico perché credo non sia né interessante né onesto impelagarsi in discorsi tecnico-tattici. Mi limito a dire che Dio c’è è un disco che contiene 13 belle canzoni, alcune forse anche bellissime. Si può discutere eventualmente su come esse siano suonate, cantate e interpretate. Ma sul materiale in sé credo ci siano poche bambole da pettinare. Quanto alle nostre aspettative non saprei bene che dirti se non che quelle davvero significative, che riguardano il fatto di aver pubblicato un disco importante (a prescindere da come varrà accolto) sono state pienamente soddisfatte. Quel che arriva in più sarà valutato, analizzato e accettato man mano, sia con gioia che con incazzatura che con indifferenza. Avevamo l’ambizione di fare un disco che avesse in scaletta brani anche molto diversi tra loro, ma che non fosse dispersivo racchiudendo invece una buona dose di uniformità. Secondo me ci siamo riusciti perché, riascoltandolo, riconosco la stessa unità di intenti in brani sulla carta molto diversi tra loro come per esempio “Un mare”, “Storia precaria” e “Persone che potresti conoscere”.

È un disco in cui si narrano storie personali: quanto ti senti a tuo agio nel raccontare in pubblico le tue emozioni?
In generale non ho molti problemi nel mettermi a nudo nei miei testi, anche perché ritengo che la condivisione sia di cose profonde e delicate sia di aspetti più leggeri è, almeno sulla carta, interessante. Aggiungo che da sempre cerco di condire argomenti magari forti e delicati con una buona dose di ironia e di autoironia. Trovo sia importante farlo perché è salutare vivere con un certo distacco quello che si fa, non prendendosi troppo sul serio, anche se pare che ai giovani d’oggi piacciano le rockstar-vati.

Come mai la scelta di intitolare il nuovo album “Dio c’è” come le scritte che ancora oggi si incontrano sui cavalcavia per indicare luoghi di spaccio?
Tutti noi siamo nati a metà degli anni Settanta. Fra i tantissimi ricordi iconografici che hanno accompagnato la nostra adolescenza c’è la scritta ‘Dio c’è’ riprodotta a spray sui muri della città e sui cavalcavia autostradali. Per noi evoca atmosfere metropolitane e decadenti, un senso di losco e di organizzazione naïf di affari sporchi. Se vogliamo vederci anche un rimando al concetto di spaccio potrei dirti che oltre a essere il titolo del nuovo disco ‘Dio c’è’ è il nostro avviso al pubblico che da queste parti si fanno buone cose.

Il disco presenta canzoni con testi sempre più irriverenti. In “Storia precaria” per esempio oltre a una velata critica al sistema musicale italiano c’è una vera presa per il culo nei confronti dei rapper…
In Storia precaria, con buona pace di un tuo collega che ha scritto che in quella canzone narro la mia storia, racconto di un ragazzino che, ammaliato dalla grande bolla di sapone del nuovo e molto ridicolo rap italiano, prova a dare una svolta secca alla sua vita inutile e menosa, ma combina un gran casino e finisce male, e in questo senso la lunga coda strumentale elettronica vuole essere espressione di uno stato d’animo particolarmente scombussolato. Non ho nulla di personale contro i nuovi rapper di successo. Semplicemente trovo che nella maggior parte dei loro testi, nelle basi e nella loro attitudine ci siano ben poche idee fresche e davvero interessanti e tantissima posa, manierismo e senso degli affari. È però anche comprensibile che quando ti rendi conto che esistono migliaia e migliaia di ragazzetti disposti a darti credito e denaro in cambio di rime imbarazzanti su quanto ce l’hai più grosso di quello dei cinesi, su quante ragazze ti sei fatto in una sera e su quanti soldi stai facendo se sei uno scaltro e senza particolari scrupoli artistici ti puoi far prendere la mano e provi a far cassa. In Italia si fa un sacco di buona musica, ci sono gruppi giovani molto bravi e preparati, con ottime idee. Putroppo c’è anche tantissima gente che dovrebbe avere un maggior senso del pudore, servirebbe una bella riflessione generale, sia da parte dei musicisti sia da parte degli addetti ai lavori, spesso responsabili del pompaggio immotivato e demenziale di fenomeni totalmente privi di sostanza.

Da qualche tempo hai aperto anche una tua etichetta, trovandoti così schierato in entrambi i lati della barricata…
Aver dato vita a The prisoner records è l’ennesima delle mie grandi incoscienze. Tuttavia mi sta appassionando molto lavorare con artisti che reputo davvero interessanti, cercando di mettere a loro disposizione la mia esperienza e un po’ di idee. Ho prodotto band secondo me interessantissime come i Lava lava love (in uscita a gennaio col secondo album) i Bosio, Tarick1, i Kramers e a novembre uscirà il nuovo disco, splendido, di Iacampo, che coproduco insieme alla Urtovox. Sono contento e, nonostante tutto, molto motivato da questa avventura.

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