Roberto Vecchioni è il testimonial della campagna «Porta a scuola i tuoi sogni» del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, presentata a fine settembre per l’inaugurazione dell’anno scolastico nel cortile del palazzo del Quirinale, in presenza del presidente Napolitano, del ministro Profumo, dello stesso Vecchioni e di oltre 3000 studenti e docenti provenienti da tutta Italia.

La voce off di Vecchioni unisce insegnanti e ragazzi in un noi inclusivo, esortando tutti ad amare la scuola («lo sapevate che in latino “studio” vuol dire anche amore?»), perché: «non importa se leggiamo un libro con le pagine o il monitor di un computer, non importa neanche se le scuole non sono perfette e se studiare, a volte, ci sembra persino inutile. Cerchiamo con tutte le forze di cambiare quello che non va, ma non smettiamo mai di amarla, la nostra scuola, perché un futuro migliore per tutti è scritto nel miglior presente che riusciamo a realizzare insieme».

È evidente che gli autori dello spot – mi metto nei loro panni – hanno fatto di tutto per mostrare ragazze e ragazzi il più possibile «normali» e differenziati: piccoli e grandi, maschi e femmine, biondi e mori, con grandi masse di riccioli o capelli cortissimi, di pelle chiara o scura. Ma il committente era pur sempre il Miur, che certo non avrebbe accettato stili e linguaggi troppo realistici o innovativi. Perciò hanno dovuto usare il linguaggio idealizzante della pubblicità main stream:

  • tutti i volti tendono al bello (occhi grandi, lineamenti delicati);
  • gli ambienti sono puliti, ordinati, ariosi;
  • gli arredi, pur concedendo al realismo una sedia sbertucciata, scarabocchiata e con le gomme da masticare appiccicate sotto, paiono usciti da un catalogo Ikea;
  • il tono emotivo oscilla fra la serenità e l’euforia, con un solo fugace passaggio su un volto che per un istante allude alla noia adolescenziale, ma subito si trasforma in concentrazione su ciò che l’insegnante scrive alla lavagna.

Ce n’è abbastanza, insomma, per far arrabbiare molti insegnanti che, lavorando in situazioni lontanissime da quelle dello spot (scuole fatiscenti, ragazzi disagiati e ribelli, precariato, stipendi da fame) si sono sentiti presi in giro, per l’ennesima volta, da un Miur che da decenni toglie soldi alla scuola.

Infatti gli insegnanti che mi hanno segnalato lo spot si sono divisi in due: i più delicati, quelli che vivono in scuole privilegiate, ne hanno capito l’intenzione, ma si sono detti comunque «perplessi»: «Perché lo spot mi attrae ma mi disturba pure?». I più sfortunati, quelli che tutti i giorni vivono difficoltà enormi, si sono sentiti offesi e si sono lanciati in invettive: contro il ministero innanzi tutto, ma anche contro la pubblicità che, dopo la «famiglia del Mulino Bianco», «ora ci mostra pure una scuola da Mulino Bianco».

Ma la pubblicità vende sogni, si sa, e lo spot si rivolge più agli adulti, ai genitori e agli insegnanti che ai ragazzi, mostrando loro una scuola dei sogni. Se non fosse che, quando un sogno è troppo lontano dalla realtà, non si riesce nemmeno a sognarlo.

Cosa potevano fare i pubblicitari? Dato il committente e la situazione italiana, forse nient’altro: era una missione quasi impossible. Che poteva fare il Miur? Evitare lo spot e agire a favore della scuola (il come è tutto da discutere, ma in altra sede). Non sempre si deve passare da uno spot, anzi: in certi casi è meglio lasciar perdere.

Music and voice over: Roberto Vecchioni; Creative director: Paolo Iabichino; Copywriting: Paolo Iabichino, Riccardo Luna, Roberto Vecchioni.

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