Le regole delle primarie che si discuteranno domani costituiscono un banco di prova per la classe dirigente, attuale e futura, del Partito Democratico. Un segno di maturità per un partito che deve darsi delle norme per far svolgere questa competizione in maniera aperta, ma che indirettamente daranno all’esterno la dimostrazione se saremo in grado, dalla prossima primavera, di governare l’Italia da soli, senza tutor tecnici. Sento dire che ci sono rischi di scissioni e di spaccature se passeranno regole troppo stringenti. Mi auguro però che vengano proposte e approvate delle regole semplici. Noi dobbiamo spalancare le porte dei seggi. Non posso credere che ci si voglia chiudere proprio adesso in un recinto. Non possono costringerci a rovistare tra chi ha la tessera. La registrazione dei votanti l’abbiamo sempre fatta, ma non deve essere preventiva e scoraggiare la partecipazione.

Idem per i candidati. Non è pensabile che le primarie diventino “intruppate” o a portata solo di quelli che sono più riconoscibili. Le firme da raccogliere devono essere uno strumento di legittimazione, non di ostacolo. Chi sostiene una candidatura non deve essere necessariamente un iscritto. Le primarie sono questo, da sempre: il momento di apertura del partito ai non iscritti. Mettere dei paletti alle primarie non significherebbe andare contro Laura Puppato, Sandro Gozi o Matteo Renzi. Significherebbe andare contro il Pd.

Da quando mi sono candidata ed è iniziato il dibattito interno al partito, ho ricevuto decine di mail di persone scoraggiate o deluse, per lo più intenzionate a non andare a votare alle primarie e, presumibilmente nemmeno alle elezioni. I motivi sono i più diversi, in particolare l’idea di una classe dirigente che non è in grado di incidere sulle scelte del Paese, che non riesce a cambiare nemmeno i meccanismi per la sua selezione. Vedi il “Porcellum” che è ancora vivo e vegeto.

Mi scrive Roberto: “Sono un fondatore del Pd che meditava di non andare a votare alle primarie (con forte dispiacere, dato che attribuisco un grande valore a questo evento) perché mi rifiuto di chiudere il discorso sul futuro dell’Italia nel dilemma tra il vecchio apparato e le nuove (fintamente nuove) chiacchiere sul nulla”. E poi Daniela: “Ho votato il Pd fino dalla sua nascita, ma ultimamente ero  molto delusa e stavo pensando di non andare a votare per le primarie”. E poi ancora Antonio: “Ho letto finalmente i motivi per continuare a votare Pd, da un po’ di tempo non era scontata questa mia scelta”.

Possiamo permetterci di perdere Roberto, Daniela e Antonio senza dare a loro e ai tanti che guardano alla politica con disincanto e, a volte con rabbia, una possibilità di scelta in più?

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