La batosta di sabato sera contro la Juventus, un 4-1 senza appello che avrebbe potuto essere più pesante, apre ufficialmente la crisi della As Roma. I media nazionali e le radio locali mettono sotto processo il tecnico boemo Zdenek Zeman, passato in soli due mesi dal ruolo di messia a quello di capro espiatorio. La situazione sul campo non è certo eccellente. In cinque partite giocate (esclusa quindi la vittoria a tavolino 0-3 di Cagliari, che tra l’altro la Disciplinare potrebbe anche decidere di togliere facendo invece rigiocare la gara e penalizzando la società sarda in classifica) solo 5 punti conquistati: con 9 gol fatti e 11 subiti. Nel dopopartita contro la Juventus poi, le dichiarazioni di De Rossi (“non possiamo lottare per lo scudetto”), Zeman (“la squadra non mi segue”) e Sabatini (“acquisti sopravvalutati”) palesano un profondo malessere. Ma il problema della AS Roma è, prima di tutto, societario.

Nel luglio del 2011 la Roma diventa la prima società di calcio di proprietà straniera, grazie ad un gruppo di finanzieri americani allora rappresentati dal volto pacioso di Thomas Di Benedetto. Da allora la società è controllata per il 78% dalla Neep Roma Holding, società a sua volta controllata al 60% dagli americani e al 40% da Unicredit, che ai tempi rilevò il club nell’ambito della ristrutturazione del debito di Italpetroli. Un’operazione, quella degli americani, che se non è stata a costo zero poco ci manca. Le modalità d’acquisto della AS Roma ricalcano infatti quelle con cui la famiglia Glazer si è impossessata del Manchester United, il cosiddetto leverage buy out, dove grosso modo si chiedono al vecchio proprietario i soldi in prestito per l’acquisto del loro prodotto.

Dal 2011 la Roma investe pesantemente sul mercato calciatori, meno in se stessa. Nel 2011 sono spesi 66,75 milioni di euro per gli acquisti a fronte di introiti per 24,12 milioni (saldo negativo di 46,5 milioni). Nel 2012 sono spesi 39,3 milioni a fronte di un incasso di 18,1 milioni (saldo negativo di 21,2 milioni). In totale, in due anni il saldo negativo sfiora i 70 milioni: una curiosa eccezione in un panorama generale dove tutti cercano di risparmiare, che farebbe presagire un notevole disponibilità economica. Eppure non è così. L’aumento di capitale societario di 50 milioni deciso a gennaio, e richiamato “con urgenza” prima a maggio e poi a giugno è rinviato a dicembre. Il motivo è semplice, nessuno vuole mettere i soldi in una situazione societaria disastrosa. La relazione finanziaria semestrale approvata a febbraio 2012 recita che la posizione finanziaria netta risulta a debito per 61,4 milioni e il patrimonio netto consolidato di euro. E mentre si attende come fosse manna dal cielo il via libera per i lavori di costruzione del nuovo stadio, in soli due anni si assiste ad avvicendamenti in serie in tutti i settori.

Sul campo Destro sostituisce Borini, Castan arriva al posto di Kjaer e così via. E, soprattutto, Zeman si siede sulla panchina di Luis Enrique. In società, James Pallotta prende il posto di Di Benedetto – diventando ad agosto il 23esimo presidente della As Roma – e il suo braccio destro Mark Pannes è a tutti gli effetti il nuovo plenipotenziario societario, che ha ufficiosamente defenestrato l’ad Franco Baldini, sempre più ai margini del progetto. In tutto ciò, con una società che spende sul mercato e non trova invece i soldi per una ricapitalizzazione urgente, al centro del mirino rimane solo Zeman. In un campionato povero di stelle, dove ad eccezione dello splendido Cavani tutti i campioni se ne sono andati a cercar fortuna altrove, ogni suo sospiro è interpretato, ogni silenzio decifrato. Quando poi parla, sembra debba cadere il mondo. E così, se la Roma non gira ecco che la responsabilità è di Zeman: integralista, eretico, superato tatticamente, inadatto nella preparazione fisica. Un concentramento di fuoco sul tecnico che fa buon gioco nel coprire le cause reali e concrete della crisi della As Roma: quelle di una società finanziariamente sull’orlo del precipizio e che in soli due anni ha messo in campo a caro prezzo due ‘progetti’ antitetici. Poi certo, lasciare campo aperto a Pirlo non aiuta.

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