“Fare il bagno mentre a 100 metri si consuma una tragedia è imbarazzante. Per colmare questo imbarazzo, dieci anni fa, è nata O’ Scià”. Claudio Baglioni sa che probabilmente questa sarà l’ultima volta in cui salirà sul palco della Guitgia, a Lampedusa. Anche se lo dice ogni anno, oggi l’esperienza del concerto sulla spiaggia può dirsi conclusa. “Cambieremo formula, cambieremo contenuti”. Del resto non ci sono più i soldi pubblici: quest’anno la manifestazione è stata realizzata con l’avanzo di cassa del 2011, con un piccolo contributo del ministero della Cooperazione (“Mai mi sarei azzardato a chiedere i soldi a Monti, in un periodo come questo”) e con alcuni sponsor privati. E invece portare fino a Lampedusa artisti del calibro di Ligabue, Fiorella Mannoia, Pino Daniele e Giorgio Panariello costa, e non poco. E non perché i “big” prendano una lira, anzi, vengono a titolo gratuito. Ma bisogna pagare i musicisti, le maestranze, le spedizioni. Così magari l’anno prossimo si tornerà alla vecchia formula “una serata, un concerto”, come fu a Malta qualche anno fa.

Le ristrettezze economiche hanno fatto sì che “CiaO’ Scià” si sviluppasse su tre serate, ma la musica l’ha fatta comunque da padrona. Splendida la Mannoia, con la band costretta a suonare senza i propri strumenti – rimasti a Palermo per il mare grosso -, sempre carichi i Litfiba in duetto con Baglioni su “Regina di cuori”. E sabato sera il grande finale con Luciano Ligabue, reduce dal successo di “ItalialovesEmilia” e sbarcato per la prima volta sull’isola. Unica nota stonata il trattamento riservato ai giornalisti, tenuti a debita distanza dagli artisti prima, durante e dopo lo show. E dire che negli anni scorsi l’unicità della manifestazione consisteva soprattutto nella condivisione, nello scambio e nella sinergia. Intorno alla musica, tutto è sospeso. Persino gli 87 disperati sbarcati giovedì, di cui nessuno si è accorto. Nel Centro di primo soccorso e accoglienza, riaperto in parte prima dell’estate, ci sono circa 200 stranieri, una cinquantina dei quali reduci dal naufragio del 6 settembre. Nessuno li tiene più segregati, tanto che di notte capita anche di trovarli in giro. Aspettano di essere trasferiti e intanto i minori non accompagnati si godono lo spettacolo nel retropalco.

Il sindaco, Giusi Nicolini, è ancora alle prese con le delegazioni tunisine di passaggio dopo aver incontrato la Cancellieri a Roma, “segno che qualcosa si muove”. La paura è la stessa di tutti gli anni: spenti i riflettori di O’ Scià, si spegne l’interesse per Lampedusa. E quindi addio voli da Roma o da Palermo, persino quelli “sociali” necessari alla popolazione, nonostante il mega aeroporto costruito con 17 milioni europei e inaugurato in pompa magna da Schifani a luglio. La Fondazione di Baglioni ha donato all’isola un macchinario per la risonanza magnetica e la Tac, ma per la sanità è solo l’inizio: le donne lampedusane sono costrette a prenotare i cesarei o a raggiungere Palermo un mese prima del parto, con spese esorbitanti. E c’è addirittura chi perde la casa per potersi permettere la chemioterapia. “Ci sono soldi che potrebbero arrivare dalla legge Mancia – spiega il senatore Pd Benedetto Adragna -, ma occorre presentare presto i progetti”. A Lampedusa più che i progetti serve una politica nazionale attenta. Cosa che finora non è successo. La villa-spot di Berlusconi cade a pezzi a Cala Francese: solo lunedì, dopo un anno e mezzo, partiranno i lavori di restauro. L’ex premier ha chiesto agli architetti una mega cabina elettrica. Chissà che non ci voglia fare il casinò.

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