“Un giorno in più che differenza fa?” aveva chiesto retoricamente la presidente della Regione Lazio Renata Polverini mercoledì parlando con i cronisti che le facevano notare come non avesse ancora formalmente presentato le dimissioni dopo quell’addio sparatutto. Dimissioni ufficiali che, nel pomeriggio di giovedì, sono arrivate, con la lettera firmata e trasmessa al presidente del consiglio regionale. Ecco, la differenza sta nelle nomine. Se l’ultimo atto della giunta è stato un taglio agli assessori con ritiro delle relative deleghe soprattutto a coloro che sono legati “all’acerrimo nemico” Antonio Tajani, il penultimo atto sono state le nomine in extremis. Alcune delle quali hanno toccato figure considerate “fedelissimi” della Polverini. Dunque sono stati nominati 10 direttori generali, prorogando alcuni in scadenza e chiamando altri dall’esterno, pescando anche tra sindacalisti dell’Ugl, il sindacato che, come noto, la governatrice guidava finché non è stata eletta. La Stampa fa anche i nomi dei nuovi “nominati”: Giuliano Bologna, coordinatore dell’Avvocatura regionale, Raffaele Marra, direttore regionale per il personale, Guido Magrini, direttore della Programmazione economica e sociale, Luca Fegatelli, direttore del Dipartimento per il territorio, Rosanna Bellotti, Raniero Vincenzo De Filippis, Roberto Ottaviani e Maria Chiara Coletti, entrambi direttori ed Ersilia Maffeo, direttore dell’Agenzia del Turismo.

Due, in particolare, sono le scelte destinate a fare polemica: il rinnovo per Marra e Bologna. Erano state bocciate dal Tar a giugno e il Consiglio di Stato si pronuncerà di nuovo a ottobre. Bologna, peraltro, proviene dall’Ugl ed è stato consulente legale della Polverini. Marra è considerato vicino al sindaco Gianni Alemanno. A proposito di risparmi degli enti pubblici. La stessa giunta che si è riunita ieri ha avuto anche il tempo di decidere di sollevare l’impugnazione davanti alla Corte Costituzionale per la declaratoria di illegittimità della legge sulla spending review che prevede il taglio delle province e la privatizzazione delle società pubbliche.

 

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