La quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Alessandro Sallusti a 14 mesi di carcere. Il tribunale ha inoltre condannato il direttore de Il Giornale  – la cui vicenda ha scatenato dibattito anche sulle pagine del Fatto Quotidiano – alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte. E’ stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 17 giugno 2011. Ci sarà, invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone, imputato insieme a Sallusti.

A questo punto Sallusti dovrebbe andare in carcere. E’ stato lo stesso direttore del Giornale a comunicare che non chiederà al tribunale di sorveglianza l’applicazione di misure alternative: “Domani farò il titolo più semplice della mia vita: vado in galera”. Sallusti ha anche deciso di presentare le proprie dimissioni all’editore del Giornale. Lo ha comunicato lo stesso direttore ai suoi collaboratori. Riunendo la redazione per annunciarlo, il direttore del Giornale ha aggiunto di non essere intenzionato a chiedere l’assegnazione ai servizi sociali “perché ai servizi sociali ci vanno gli spacciatori” e ha ironizzato: “Non ho bisogno di essere rieducato”.

La procura di Milano ha in ogni caso immediatamente rilevato che la sentenza sarà sospesa: il procuratore di Milano Bruti Liberati ha infatti detto che in assenza di cumuli di pena o recidiva non scatterà la pena detentiva.

LA REQUISITORIA DEL PM – Nella sua requisitoria di questa mattina, il Pg Gioacchino Izzo aveva sostenuto che non ci fossero dubbi sulla colpevolezza di Sallusti nella diffamazione nei confronti del magistrato Giuseppe Cocilovo, ma che fosse necessario “rivalutare la mancata concessione delle circostanze attenuanti”. Per questo il procuratore della Cassazione aveva chiesto l’annullamento con rinvio della condanna a 14 mesi di reclusione per Sallusti solo “limitatamente all’aspetto delle attenuanti”.

Sussiste – aveva detto Izzo –  la “piena responsabilità di Sallusti per quanto riguarda l’elemento soggettivo e oggettivo del reato”. Tuttavia – ha aggiunto il pg – il ‘no’ alle attenuanti “non si può liquidare solo con riferimento ai precedenti dell’imputato perché ci troviamo di fronte a una notizia data il giorno precedente da La Stampa, mentre l’articolo attribuito a Sallusti è del 18 febbraio 2007 e per tutta quella giornata si sono susseguiti dispacci dell’Agenzia Ansa che solo a tarda sera identificavano in Cocilovo il giudice tutelare che si è occupato della vicenda dell’aborto della minore”. Secondo Izzo manca la valutazione della “intensità del dolo” a causa di un quadro di notizie, sulla vicenda, che stentava a delinearsi con chiarezza. Izzo aveva rilevato anche che “l’attribuibilità a Sallusti dello pseudonimo di Dreyfuss non fosse in discussione”. Per quanto riguarda la condanna al cronista di Libero, Andrea Monticoni, che aveva scritto un articolo sulla vicenda, il pg aveva chiesto l’annullamento con rinvio – come in effetti è accaduto – “perché si tratta di un articolo che si limita a raccontare la vicenda ospedaliera e familiare della minorenne implicata in questa vicenda”.

LA NOTA DELLA SUPREMA CORTE – Intanto, la Corte di Cassazione ha diramato una nota per spiegare la propria decisione. La Cassazione, si legge,  ritiene “opportuno precisare” aspetti del caso Sallusti “non esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi”. Per prima cosa la falsità della notizia contenuta nell’articolo anonimo attribuito a Sallusti. “Emerge, dalle sentenze dei giudici di merito, che:

a)
la notizia pubblicata dal quotidiano diretto dal dott. Sallusti – scrive la Cassazione – era ‘falsa’ (la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò ad una sua autonoma decisione, e l’intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest’ultimo la decisione presa)”. 
Inoltre la Cassazione sottolinea, al punto b) “la non corrispondenza al vero della notizia (pubblicata da La Stampa il 17 febbraio 2007) era già stata accertata e dichiarata lo stesso giorno 17 febbraio 2007 (il giorno prima della pubblicazione degli articoli incriminati sul quotidiano Libero) da quattro dispacci dell’Agenzia ANSA (in successione sempre più precisa, alle ore 15.30, alle ore 19.56, alle 20.25 e alle 20.50) e da quanto trasmesso dal Tg3 regionale e dal Radiogiornale (tant’è che il 18 febbraio 2007 tutti i principali quotidiani, tranne Libero, ricostruivano la vicenda nei suoi esatti termini)”. Al punto c) la nota della Cassazione sottolinea “la non identificabilità dello pseudonimo ‘Dreyfus’ e, quindi, la diretta riferibilità del medesimo al direttore del quotidiano”. L’articolo incriminato era intitolato ‘Il dramma di una tredicenne. Il giudice ordina l’aborto’.

Ecco l’articolo contestato 

 

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